Se ne è andata da poco “Gussie” Moran, la prima donna ad aver indossato una minigonna sui campi da tennis. Fu a Wimbledon 1949 e contro di lei si scatenarono l’opinione pubblica e i benpensanti. Fu precorritrice, a sua insaputa, del tennis inteso come spettacolo e delle malignità che le giocatrici che osano attirano su di loro.
Cosa sarebbe il tennis odierno senza i bicipiti di Nadal e i fisici scolpiti dei maschietti, o senza le gambe lunghe della Sharapova o della Ivanovic in bella mostra? E senza i completini più o meno raffinati e colorati…
In tutti gli sport ci sono delle icone, vincenti o meno, ancora famose oppure ormai dimenticate. Il 16 gennaio scorso ci ha lasciato a 89 anni un’icona della storia del tennis, seppur poco conosciuta: l’americana Gertrude "Gussie" Agusta Moran. Non verrà mai ricordata per i brillanti risultati sul campo; al massimo raggiunse i quarti a Wimbledon nel 1950 e una semi nel 1948 agli US Championships, mentre in doppio misto ottenne una finale nello slam americano (1947) e una finale nel doppio misto del 1949 tra i sacri cancelli di Church Road, il luogo in cui portò niente di meno che il peccato e la volgarità.
Già, perché di lei tutti ricorderanno solo le mutandine aggraziate da pizzi assassini (citiamo Gianni Clerici).
Come andò? Andò che nel 1949 vinse i tre tabelloni dei campionati statunitensi indoor (il doppio misto con un certo Pancho Gonzales), e quindi si guadagnò l’accesso a Wimbledon come testa di serie n. 7. Per l’occasione chiese a Ted Tinling, ex tennista e già affermato stilista del nostro amato sport (lo sarà anche per grandissime come Navratilova, Evert, Wade, Goolagong e King), di disegnarle un bel completino. Lei di certo voleva far colpo, visto che meditava di scendere in campo con le maniche di colori diversi e un terzo colore per i pantaloncini. Per fortuna Tinling, che rivestiva il ruolo di anfitrione ufficiale di Wimbledon, non lo permise, anche per via della regola eburnea wimbledoniana, ma acconsentì a osare, e non poco. Per lei disegnò dei pantaloncini corti abbastanza da far intravedere le mutandine adornate da aggraziati pizzi: insomma, la prima minigonna sui campi da tennis. Ovviamente i fotografi facevano a botte per accaparrarsi i posti migliori (piano sottoterra) e, il mattino dopo, le foto di quella che era diventata in poche ore “Gorgeous Gussie”, la bella Gussie, fecero il giro del mondo. Perse quella partita, anche perché non riusciva a sopportare tutti quegli sguardi e le battute feroci. Come giustamente disse: “Non avrei causato più scandalo se mi fossi presentata sul campo completamente nuda!“. Di più, scandalizzò organizzatori, soci e invitati, tra cui la ultra ottantenne regina consorte Mary di Teck, alcune principesse della corte egiziana e tanti, troppi benpensanti. Partirono interpellanze parlamentari e Ted Tinling fu bannato dal sacro suolo dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club per 23 anni con l’esplicita accusa rivoltagli da un socio: “Tu hai portato il peccato e la volgarità nel mondo del tennis”. Per fortuna all’epoca, vista anche l’aperta omosessualità di Ted, non c’erano più i roghi per gli adoratori del demonio…
Insomma, se Bunny Austin portò i pantaloncini corti, Suzanne Lenglen le maniche corte e gonne più comode, Fred Perry e René Lacoste le t-shirts, Gussie Moran fu l’involontaria bandiera delle minigonne. E lo fu nell’ancora puritano 1949. Ma non fu mai bandiera del femminismo o dell’emancipazione come potremmo intenderla al giorno d’oggi, lo furono molto di più Billie Jean King e Martina Navratilova qualche decennio più tardi. Lei, per esempio, non avrebbe mai osato una Battle of the Sexes. Si trovò molto probabilmente coinvolta in un gioco più grande di lei. La vediamo come una precorritrice della Kurnikova o delle sorelle Williams, o di Maria Sharapova. Una donna che ci teneva ad essere glamour, nulla di più. Sarebbe stata perfetta al giorno d’oggi. Invece, visto il clamore che suscitò, rimpianse spesso quel giorno sui courts più famosi del mondo e, difatti, l’anno successivo si presentò ai Doherty Gates molto più castigata nei costumi e negli atteggiamenti. Nel 2002 disse: “Ma in fondo che c’è di male nel trovarsi bene con il proprio corpo e i propri vestiti? Io non mi trovavo proprio a mio agio, forse ora sarebbe diverso”.
Ritornando a Ted Tinling, è necessario aggiungere la sua visione lucida del fatto, ancora più esatta se rivista con le lenti di noi spettatori dell’anno 2013: “Ho portato il peccato nel mondo del tennis perché il tennis non poteva più autofinanziarsi come semplice sport. Doveva mutarsi in spettacolo”. E infatti la parabola della bella Gussie si evolse proprio in quella direzione. Pochi mesi dopo si aggregò al circo del tennis professionistico (guarda caso proprio con Bobby Riggs), dove richiamava gli spettatori più per la sua immagine e i pettegolezzi che per il suo tennis (peraltro fu una dignitosissima mancina). Anche lì le cose non andarono bene, e si trovò a dibattersi sempre tra matrimoni falliti, cattivi investimenti finanziari, periodi buoni (qualche comparsata in qualche film, qualche pubblicità), e altri decisamente meno, come giornalista sportiva mai completamente affermata, e soprattutto i postumi di un terribile incidente aereo. Nel 1970 partecipò a un tour di sostegno alle forze militari impegnate in Vietnam, lei che aveva perso un fratello durante la seconda guerra mondiale ed era sempre pronta ad aiutare la sua patria. L’elicottero su cui viaggiava venne abbattuto e lei seriamente ferita: il recupero fu molto lungo. Gli ultimi anni della sua vita non furono, poi, all’insegna della ricchezza, ma i suoi amici la ricordano sempre molto orgogliosa senza essere per questo eccessivamente rigida.
E anche a noi ci appare così. Sarà forse ricordata dai più solo per quell’avventata minigonna, ma ci sembra più grande nell’aver trattato il Trionfo e la Disfatta alla stessa stregua, come recita la scritta che campeggia negli spogliatoi di Wimbledon.
Pubblicato su Ubitennis e Vavel il 19 gennaio 2013
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