Alcuni
hanno preferito non farsi fotografare o più in generale, chiaccherare, altri non
hanno avuto molti problemi. Tutti sono però, comprensibilmente, un pochino
“sospettosi”. D’altra parte fanno un lavoro in cui si trovano continuamente in
mezzo alla gente, per gran parte del tempo sono soli, e non hanno ancora un’organizzazione alle spalle solida. Un po’ perché il settore è
relativamente giovane (Deliveroo è stata fondata in Inghilterra nel 2013), un
po’ perché il rapporto è grandemente basato sulla distanza/vicinanza digitale, con i
suoi pro e i suoi contro.
Ormai tra loro si conoscono quasi tutti,
ma non tutti “fanno gruppo”. C’è chi sta sulle sue, chi invece, mentre aspetta
una consegna da fare, si mette a chiaccherare con gli altri: del lavoro – “hai
scaricato l’ultimo aggiornamento?”, “brutto tempo ieri, per fortuna non mi sono
bagnato troppo”, ecc. -, ma anche di tutt’altro, come succede in ogni ufficio.
Poi arrivano le prime notifiche (tutti a guardare il cellulare) e, chi accetta,
parte per la prima cavalcata del turno.
Altri dicono che non sono stati presi
a fare il cameriere perché in una città turistica come Firenze devi sapere
l’inglese a un livello molto alto.
In effetti, mentre attendevo il ritiro
di un sacchetto di cibo da consegnare, mi è capitato di ascoltare la cameriera di una nota catena, in centro, parlare in un inglese molto molto fluente.
Una conferma in più, se ce ne fosse
bisogno, che sapere una lingua straniera, e magari avere una laurea, al giorno
d’oggi è condizione necessaria ma non sufficiente per trovare lavoro, anche in
questo settore.
Un altro ragazzo italiano invece
ammette: sono gli stranieri che generalmente lavorano con Glovo (che ha da poco
acquistato la filiale italiana di Foodora) anche se pagano meno e le condizioni
sono peggiori. Inoltre qualcuno alle volte rifiuta delle consegne (un’opzione
che può comunque essere esercitata) se magari la distanza è troppa da fare in
bici, tanto c’è sempre qualcuno disposto a fare diversi chilometri per qualche soldo
in più.
Quasi tutti coloro con cui ho parlato
fanno questa attività a tempo pieno. Questo significa che in alcune giornate
(di 8-9 ore di lavoro: più consegni più guadagni) c’è chi si fa anche 40 km.
Alle volte, mi confidano, arrivi a casa e ti riposi un’ora e poi vai di filato
a letto. Il giorno dopo, porti la figliola a scuola, pedali, e sei di nuovo
cotto e pronto per dormire. Non parliamo di quando c’è brutto tempo.
Nei miei tentativi di inseguimento
devo ammettere che è stato stressante passare in mezzo ai turisti a furia di
scampanellate, o prendere qualche rischio, magari contromano, perché altrimenti
dovresti fare un giro infinito e poi non riesci a consegnare in tempo e il tuo profilo lavorativo ne potrebbe risentire tanto da avere ripercussioni negative per le prossime consegne…
Certo, ogni mestiere ha le sue
magagne, mi chiedo solo quanto a lungo uno possa fare questa vita. Alla fine di
sole tre o quattro ore di bici il mio fondoschiena reclamava almeno una
tregua ed ero quasi frastornato dal traffico...
Un altro, non più giovanissimo, mi ha
raccontato che era partito con una bici da città come la mia. Arrivava a casa
morto sfinito. Quindi ha prima preso una bici un po’ più ammortizzata, ora ha
una mountain bike che tiene sempre accanto a sé, assicura sempre con una catena
e ha un dispositivo gps in caso di furto.
Questo gli ha facilitato la vita, ma di certo c’è ancora molta strada da fare
per assicurare a questi lavoratori non solo tutta una serie di assicurazioni e
legislazioni da parte delle società o dello Stato stesso, ma anche un riconoscimento
sociale adeguato ai tempi.
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