Pazzia.
Letteralmente pazzia.
Così
dicevano ogni qualvolta raccontavo e spiegavo questa idea.
L'idea
cioè di farmi coinvolgere da mio fratello e seguirlo in uno dei suoi trail.
Io
che al massimo ho fatto 21km su strada e che vivo in città e senza macchina,
dove cappero vado ad allenarmi?
Io
che: e il tempo per allenarmi?
Io
che comunque sono il primo a considerarla una pazzia..
Comunque
a marzo ci iscriviamo per la marathon trail di Vigolana, 42 km da farsi il 13
ottobre 2018. Ok, ma dov'è Vigolana? O meglio, cos'è Vigolana? Scopro infine
che è un altopiano e che si trova in Trentino.
Bene,
sappiamo il dove e il quando. Manca il perché e il come..
Già,
perché? Domanda ricorrente nei mesi che mi hanno separato da quello che via via
è diventato un chiodo fisso che cerchi di ignorare, ma che è lì, in sottofondo,
in un misto di attrazione, paura e repulsione.
E
difatti passano i mesi e tu cerchi di non pensarci, e nel frattempo di
prepararti comunque. Psicologicamente (a fare una maratona e a farla in mezzo a boschi
con un dislivello di oltre 2000 metri), fisicamente (e vai a correre il più
possibile verso l'alto), e tecnologicamente (zaino - ma come, devo correre con
uno zaino in spalla??? -, e scarpe, e poi bastoncini, e l'alimentazione, e poi
fischietti, mantelline, bicchieri e manca solo una pistola lancia razzi, e una
muta da cani, no?).
Le
ultime settimane sono state davvero interessanti dal punto di vista psichico. Non
essendo riuscito ad allenarmi neanche come sommariamente programmato, la paura e
addirittura lo stress, l'ansia da prestazione e il terrore della prima volta
hanno raggiunto livelli tra il comico e il grottesco. Tipo preparare le scarpe
tre giorni prima, alzarsi di notte avendo avuto l'incubo di inciampare in una
radice in discesa, oppure avvertire dolorini che ti fanno dire, tra lo
speranzoso e il finto dispiaciuto: "ecco, ora dovrò dare forfait"...
E
invece i giorni passano e il gran giorno si avvicina, e comunque c'è da organizzare
tutto, compresa la trasferta, l'alloggio, spostamenti, etc...
E
tu fai finta di niente, come se l'indomani andassi come sempre al lavoro..
E
invece..
Invece
dormi poco, hai il terrore di non sentire la sveglia, ti massaggi di continuo
le zone più a rischio e ricontrolli cento volte lo zainetto e le varie scorte
alimentari, addormentandoti con il mantra "male che vada mi ritiro, male
che vada mi ritiro"..
Poi
suona la sveglia e scopri che è una giornata bellissima, che fa fresco ma non
freddo, che alla punzonatura (parola appena entrata nel tuo vocabolario) e al
controllo dei materiali tutti sono rilassati anche se si sente una strana
energia nell'aria. Un misto di eccitazione, frenesia e gioia (con un pizzico di
preoccupazione varia).
Poi
partiamo (orgogliosamente ultimi) e in men che non si dica ci ritroviamo sopra
le nuvole, a contemplare l'alba, e tutto acquista una senso e un perché. Il
perché dell'Estetica, che dà significato al vivere: il perché che non ha una risposta tangibile.
L'obiettivo
comunque è quello di arrivare in fondo senza farsi male e godendo della fatica,
del paesaggio, della natura rigenerante.
E
così facciamo, ci fermiamo addirittura a fare le foto, a cambiarci le
magliette, a parlare con i fantastici volontari.
Andiamo
insomma al di là della fatica, al di là dei blocchi mentali e in
"sole" 6 ore riabbracciamo le mogli (che nel frattempo si sono fatte
una bella passeggiata) e pastasciutta e birra..
Insomma,
l'inizio perfetto per addentrarsi nel più autentico Spirito Trail.
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