lunedì 18 novembre 2013

Marco Simoncelli: una leggenda entrata nella vita di tutti

Presentiamo il libro I circuiti celesti. Marco Simoncelli, la breve vita di un angelo centauro scritto da Emanuele Tonon, un autore molto intenso la cui vita è tuttora solcata dal mito del Sic. È una biografia atipica, il racconto di come Simoncelli attraversi molte vite lasciando sempre un’impronta profonda. A poco più di due anni dalla morte la sua presenza è ancora vivissima e incredibilmente copre un vasto spettro di sentimenti, emozioni e sensibilità.

..I circuiti celesti: Emanuele Tonon e Marco Simoncelli..

Gli estremi del libro:
Emanuele Tonon, I circuiti celesti. Marco Simoncelli, la breve vita di un angelo centauro
Roma, 66thand2nd, 2013 – Vite inattese, 3 - 120 p. - Eur 15,00
ISBN : 9788896538647

Ci sono libri che vanno letti con il cuore, con la pancia. Perché ci sono libri scritti con il cuore, con la pancia. Libri che fanno male; che entrano dentro le viscere e te le scavano cercandoti il cuore.
Proprio come la leggenda del Sic. Così bella e straziante da mozzare il fiato. A chi gli sta vicino, a chi lo ha conosciuto, e a chi lo ha amato anche se non lo ha mai incontrato di persona.
Il libro I circuiti celesti. Marco Simoncelli, la breve vita di un angelo centauro non è una biografia nel senso classico del termine. Non racconta la vita del centauro romagnolo nei dettagli storici, con aneddoti o sterili cronologie; non solo, almeno. Questo libro è la storia di un innamoramento. L’innamoramento tra l’autore, Emanuele Tonon, e Marco Simoncelli. E gli innamoramenti, quelli veri, vivono di pochi calcoli e di sterminata passione, quella passione per la vita che ispirava e ispira il talento di Simoncelli e ancora ci irradia tutti.
È il racconto di un incontro spirituale tra un ragazzo, pilota per vocazione, e un altro ragazzo in cerca di vocazione. Del Sic sappiamo molto: per quei pochi che, non conoscendola, ne volessero ripercorrere la parabola terrena, rimandiamo anche alla sua autobiografia, oppure ai moltissimi articoli scritti negli ultimi due anni, o ancora all’ultima puntata di Sfide a lui dedicata e andata in onda su Rai3 a un anno dalla tragica scomparsa.
Di Emanuele Tonon sappiamo invece che è nato a Napoli, ma ha passato infanzia e adolescenza a Cormòns, nel Collio friulano. Un’infanzia non certo felice, da quello che ci racconta, con la voglia di emergere e uscire dal clima socialmente oppressivo di una terra spesso dura anche con i suoi figli. Su questa zona italiana di confine è appena uscito anche un bel film - Zoran, il mio nipote scemo - in cui il problema dell’alcolismo si incrocia con i ristretti orizzonti sociali. Dopo le scuole, Tonon va a lavorare in una delle molte fabbriche del legno del goriziano, fino a quando decide di averne abbastanza dell’isolamento in cui è relegato e segue un percorso vocazionale in due monasteri; alla fine scopre che anche la vita religiosa non fa per lui e si lancia nella carriera di scrittore. La sua adolescenza prevede però anche l’innamoramento dei motori attraverso l’imitazione dei ragazzi più grandi. Passare i pomeriggi tra i Garelli, i Ciao e le marmitte da elaborare, provarli su una pista costruita dai ragazzi stessi, sbucciarsi lo sbucciabile è un percorso di iniziazione che porta all’innamoramento delle moto: lui ne traccia l’elogio della follia motoristica. Tonon inizia a seguire le corse, in televisione, senza poter andare a seguirle dal vivo, fino a quando arriva la grande occasione. A quel tempo assisteva un ragazzo, disabile in seguito a un incidente con lo scooter; con la famiglia del ragazzo scendono al Mugello per vedere le corse e là, in mezzo ai disabili ridotti sulle sedie a rotelle dai motori, ma nonostante ciò – o forse proprio per questo – appassionati veri del rombo celestiale, si rinforza il colpo di fulmine con un pilota. Un colpo di fulmine avvenuto via etere l’anno precedente, il 2008, quando un pilota, dalla moto più lenta, per togliere la scia a un suo inseguitore scarta a sinistra mettendolo in difficoltà e facendolo cadere. È un’azione al limite, è un’intuizione di riscossa per lo spettatore Tonon e per quel pilota: tale Marco Simoncelli da Coriano. Detto così sembra il nome di un eroe di un poema cavalleresco. E per lo scrittore lo è. Non sono forse questi sportivi gli eroi classici e medievali del nostro tempo? Non è forse la tuta un’armatura? Il casco una visiera – o una maschera – che catapulta questi esseri semidivini in un’altra dimensione? Non sono forse le gare i tornei di una volta? E di certo gli eroi omerici offrivano i Giochi alle divinità, in una celebrazione catartica di vita e di morte. Gli dèi assistevano dall’Olimpo e alle volte “coloro che gli dèi amano, chiamano a loro da giovani”. Tonon lo dice così: “Le stelle non si commuovono per chi parte primo e arriva primo ma per chi parte ultimo e arriva primo. Le stelle si commuovono anche se quell’ultimo non arriverà primo, se dovrà cedere, perché la meraviglia di quel gesto, quella gratuità assoluta, quell’assenza di calcolo, di guadagno, è il gesto artistico”.
L’autore ci fa coraggiosamente entrare nella sua intimità, in un parallelismo continuo tra il racconto della vita del Sic e la propria; tra gli incidenti di Marco e i suoi; tra la vita del Simoncelli pilota pubblico e quella del Simoncelli pilota privato, quel romagnolo che ha bisogno degli amici, della famiglia, delle carte, della piadina e di continui scherzi. Perché c’è chi nasce pilota, e allora, per Tonon, il Sic diventa un simbolo, un’epifania, un’apparizione, come lo è la foto iconica piazzata al centro del libro. Simoncelli che libra le sue ali, senza casco, in sella alla sua 58. Da lì si parte e si arriva, dai circuiti terrestri a quelli angelici.
Perché il Sic è da molto tempo leggenda – e non solo per Tonon -, è una leggenda viva che gareggia sui circuiti celesti dopo aver cavalcato quelli terrestri. Là si incontreranno lo scrittore e il pilota a discutere degli episodi primordiali, quelli dell’infanzia, che hanno segnato entrambi in due percorsi così distanti, così simili.

È un libro che va letto piano, perché fa dannatamente male. Sembra che l’autore abbia adottato la filosofia Sic: “sbattersene i coglioni”. Sbattersene i coglioni se ti danno una moto che va piano e concentrarsi per farla andare veloce, senza recriminare. Sbattersene i coglioni del politically correct degli scrittori, e usare un tono a tratti forte, crudo, però alternato alla poesia: la poesia dei collettori e delle emozioni, senza troppi calcoli, senza troppe reticenze.
È un elogio della follia dei motori e di quella passione, e la penna di Tonon segue vari registri. L’inizio è religioso, a tratti mistico, tanto da far temere di doversi preparare a una biografia agiografica o a una specie di retorica religiosa di quella fede che sono le moto. È però bravo, l’autore, a cercare quel “centimetro” di pista a cui Marco doveva puntare per sopperire alle sue carenze – o, meglio, sovrabbondanze – fisiche e per liberare il suo talento; allo stesso modo Tonon si destreggia sull’orlo della retorica e della poesia, senza però cadere nel mieloso o nella compassione di comodo. E ci riesce perché si percepisce che la sua è vera “compassione”, cioè che sente molto forte dentro di sé Marco e mette a nudo per noi i suoi sentimenti verso il Sic.
Per questo risultano cento pagine sofferte e dolorose, dense di vita, riso e pianto. Pagine da leggere senza fretta, quasi con venerazione, sicuramente con rispetto per queste due esistenze forti. Pagine che purtroppo hanno in appendice una cronologia della vita di Marco Simoncelli dannatamente corta.

Pubblicato su Ubitennis il 17 novembre 2013