giovedì 15 novembre 2018

Vita da Rider - Firenze, ottobre 2018




È impossibile non vederli, per fortuna loro!

Chiunque vada in centro città si trova, consciamente o meno, attorniato da ragazzi (e qualche ragazza) più o meno giovani, che sfrecciano in bici vestiti con i colori sgargianti e catarifrangenti di qualche società di food delivery, ovvero di consegna a domicilio di cibo preparato da ristoranti cittadini.


Foodora, Just Eat, Deliveroo, Glovo: ognuno con uno zaino personalizzato, ma per i non addetti ai lavori sembrano quasi interscambiabili l’uno con l’altro. E forse anche i riders (così si chiamano) possono forse apparire, ai non attenti, solo una anonima forza motrice?


Cosa c’è dentro quelle casacche che sfamano tante famiglie e single fiorentini?

Questa domanda mi ha spinto a saperne di più. E anche il fatto che sono ciclisti cittadini, come lo scrivente.

Parte così la caccia al rider. Di certo non è difficile vederli mentre si muovono da un punto all’altro della città, oppure mentre aspettano di entrare in servizio o di ricevere una consegna.
Alcuni hanno preferito non farsi fotografare o più in generale, chiaccherarealtri non hanno avuto molti problemi. Tutti sono però, comprensibilmente, un pochino “sospettosi”. D’altra parte fanno un lavoro in cui si trovano continuamente in mezzo alla gente, per gran parte del tempo sono soli, e non hanno ancora un’organizzazione alle spalle solida. Un po’ perché il settore è relativamente giovane (Deliveroo è stata fondata in Inghilterra nel 2013), un po’ perché il rapporto è grandemente basato sulla distanza/vicinanza digitale, con i suoi pro e i suoi contro.


Inoltre è successo in passato che le società abbiano allontanato qualche rider perché fotografato in situazioni ritenute lesive della immagine societaria; forse anche per questo le società di food delivery assumono continuamente, oltra al fatto che è un mercato in relativa crescita e il ricambio è continuo. Dopotutto c’è chi può scegliere di fare anche solo qualche ora, oppure c’è chi decide di farlo a tempo pieno (in bicicletta o in scooter). Però è vero che sei sempre sotto l’occhio di tutti, e viviamo nella società più fotografata di sempre!

Quindi non mi è rimasto altro da fare che montare in sella e seguire (affannosamente) qualcuno di loro per vedere cosa succedeva.


Ormai tra loro si conoscono quasi tutti, ma non tutti “fanno gruppo”. C’è chi sta sulle sue, chi invece, mentre aspetta una consegna da fare, si mette a chiaccherare con gli altri: del lavoro – “hai scaricato l’ultimo aggiornamento?”, “brutto tempo ieri, per fortuna non mi sono bagnato troppo”, ecc. -, ma anche di tutt’altro, come succede in ogni ufficio. Poi arrivano le prime notifiche (tutti a guardare il cellulare) e, chi accetta, parte per la prima cavalcata del turno.

Il mio Virgilio (nome di fantasia) mi spiega che, ovviamente in base alla distanza da fare, ci si può permettere di andare relativamente piano al ritiro del cibo, poi però bisognerà correre molto di più quando si tratterà di consegnare al cliente il prezioso sacchetto fumante.  

Scopro inoltre che alle volte c'è anche molto da aspettare presso il ristorante (non tutti ordinano fast food) e allora c’è l’occasione di scambiare due parole.

Qualche rider fa questo lavoro da uno o due anni, la paga non è male, di certo sei sempre al lavoro in strada, con tutti i pericoli connessi a chi va in bici. Nonostante un minimo di assicurazione, se poi ti fai male, o ti ammali, questi contratti non prevedono malattia o ferie. E se non pedali, non guadagni.


Qualche ragazzo ha il caschetto e protezioni (guanti, cavigliere catarifrangenti), ma non tutti. Qualcuno usa le cuffie, suppongo per ascoltare musica (immagino che dopo un po’ possa diventare noioso questo lavoro).

Spesso si fanno largo in mezzo alla folla a suon di campanello, ma passare da ponte Vecchio è proibitivo.

Un ragazzo straniero mi dice che lui è contento di questa occupazione anche perché si gestisce gli orari in base alle sue esigenze, guadagna abbastanza per le sue necessità e tante critiche non le capisce: per lui è un’opportunità di lavoro non trascurabile. All’inizio aveva cercato di inserirsi nel mondo della ristorazione (come cuoco o cameriere), ma nessuno gli ha dato una chance.

Altri dicono che non sono stati presi a fare il cameriere perché in una città turistica come Firenze devi sapere l’inglese a un livello molto alto. 

In effetti, mentre attendevo il ritiro di un sacchetto di cibo da consegnare, mi è capitato di ascoltare la cameriera di una nota catena, in centro, parlare in un inglese molto molto fluente.

Una conferma in più, se ce ne fosse bisogno, che sapere una lingua straniera, e magari avere una laurea, al giorno d’oggi è condizione necessaria ma non sufficiente per trovare lavoro, anche in questo settore.



Un altro ragazzo italiano invece ammette: sono gli stranieri che generalmente lavorano con Glovo (che ha da poco acquistato la filiale italiana di Foodora) anche se pagano meno e le condizioni sono peggiori. Inoltre qualcuno alle volte rifiuta delle consegne (un’opzione che può comunque essere esercitata) se magari la distanza è troppa da fare in bici, tanto c’è sempre qualcuno disposto a fare diversi chilometri per qualche soldo in più.

Quasi tutti coloro con cui ho parlato fanno questa attività a tempo pieno. Questo significa che in alcune giornate (di 8-9 ore di lavoro: più consegni più guadagni) c’è chi si fa anche 40 km. Alle volte, mi confidano, arrivi a casa e ti riposi un’ora e poi vai di filato a letto. Il giorno dopo, porti la figliola a scuola, pedali, e sei di nuovo cotto e pronto per dormire. Non parliamo di quando c’è brutto tempo.


Nei miei tentativi di inseguimento devo ammettere che è stato stressante passare in mezzo ai turisti a furia di scampanellate, o prendere qualche rischio, magari contromano, perché altrimenti dovresti fare un giro infinito e poi non riesci a consegnare in tempo e il tuo profilo lavorativo ne potrebbe risentire tanto da avere ripercussioni negative per le prossime consegne…

Certo, ogni mestiere ha le sue magagne, mi chiedo solo quanto a lungo uno possa fare questa vita. Alla fine di sole tre o quattro ore di bici il mio fondoschiena reclamava almeno una tregua ed ero quasi frastornato dal traffico...

Un altro, non più giovanissimo, mi ha raccontato che era partito con una bici da città come la mia. Arrivava a casa morto sfinito. Quindi ha prima preso una bici un po’ più ammortizzata, ora ha una mountain bike che tiene sempre accanto a sé, assicura sempre con una catena e ha un dispositivo gps in caso di furto. Questo gli ha facilitato la vita, ma di certo c’è ancora molta strada da fare per assicurare a questi lavoratori non solo tutta una serie di assicurazioni e legislazioni da parte delle società o dello Stato stesso, ma anche un riconoscimento sociale adeguato ai tempi.