TENNIS - Seconda parte della recensione di "Serious", l’autobiografia di McEnroe, datata 2002 e non ancora tradotta in italiano. Il grande "Mac" si racconta a modo suo. Molteplici sono gli spunti sul tennis attuale e su quello passato: il suo carattere, la sua vita privata, il rapporto con la droga e con sé stesso. Ma poi: avrà detto tutta la verità? (La prima parte).
Riprendiamo l’analisi dell’autobiografia del mitico
McEnroe. Dopo una prima parte dedicata ai contatti con l’attualità ecco
gli spunti sulla vita di John legati al passato e all’analisi del libro
in sé...
Riassumo brevemente la vita di John extra-tennis.
Dopo un primo matrimonio abbastanza disastroso con Tatum O’ Neal (attrice americana, famosissima da bambina e figlia d'arte) dalla quale ebbe tre figli, si è risposato con Patty Smyth
(da non confondersi con la quasi omonima super-star del rock; sebbene
anche questa Patty Smyth sia famosa come cantante); anche da Patty Smyth
ha avuto due figli, a cui aggiungerne un altro che Patty ebbe da una
precedente relazione. Dopo la carriera tennistica John ha intrapreso
attività legate al tennis (capitano di Davis, commentatore per le tv
americane e inglese), ma anche extra (dagli esiti alterni): chitarrista,
mercante d’arte, conduttore tv e chissà cos’altro… Alla fine
dell’autobiografia stava meditando di entrare in politica… Inquieto…
1. La solitudine dei numeri primi. Sgombriamo dubbi di storie di infanzie infelici: John ebbe una famiglia ottima alle spalle
(anzi, povera mamma: vi immaginate essere la mamma di McEnroe che a
ogni cosa che gli diciate lui risponde: "you cannot be serious" o
amenità del genere: scherzo, disse che spesso invece si vergognò, col
senno di poi, di quanto asino sia stato con lei). Insomma, i suoi lo
spinsero, ma non lo tormentarono con il tennis. Lui fu comunque anche da
piccolo piuttosto ribelle, o meglio, io lo definirei autonomo e in un
certo senso, solitario…Non fu però una solitudine cercata se non fino a
un certo livello. Quello che non fece il suo carattere lo fece il mondo
del tennis. Ad esempio non ebbe quasi mai allenatori o un entourage
allargato quando era in auge! Un po’ perché all’epoca non usava (sarebbe
stato eccentrico vedere un clan Djokovic o un clan Nadal), un po’
perché non riusciva a lavorare con altri (soprattutto
gli altri non riuscivano a lavorare con lui, temo)… Nei primi anni si
accompagnava agli altri tennisti; con alcuni dei quali fece amicizie
durature, altri addirittura lo svezzarono sotto diversi punti di vista
(Borg, ma soprattutto Vitas Gerulaitis)
2. Il suo comportamento: non che si scusi, per carità, però John dà un'interpretazione ai suoi celeberrimi atteggiamenti.
C'è da dire che ormai, forse come allora, non si è molto obiettivi nel
ricordare com'era e quello che faceva in campo perché a un certo punto
la cronaca si fa mito. Lui stesso dice di rendersene conto, di sapere di
non essere stato Arthur Ashe, ma ne cerca anche le spiegazioni. Più o
meno tutto il libro verte su questo lato del suo carattere, a partire
dal titolo. Non lo faceva né per procurarsi dei vantaggi, né per
provocazione, né per ostentazione. Dice semplicemente che gli scattava
un qualcosina n testa e si aprivano le bocche dell'inferno... Se
avesse saputo domarsi un po' forse avrebbe vinto partite che invece
gettò al vento (una su tutte, finale Roland Garros '84); però non
sarebbe stato John McEnroe! Dice anche, e credo sia la verità,
che era un business per tutti: per gli organizzatori, per gli arbitri,
per gli spettatori, per gli altri giocatori.
Ha e aveva comunque il senso e il rispetto per la storia,
contrariamente a quanto si pensi; un esempio su tutti, ricorda che fu
Don Budge in una telefonata a suggerirgli come giocare contro Lendl. Era
reduce da un filotto niente male di sconfitte contro Ivan il Terribile.
Donald gli consigliò di smetterla di dare angoli a Ivan per i suoi
passanti. Da quel momento fu lui a rendergli una sequenza di vittorie...
Poi Ivan lo sopravanzò ancora, soprattutto sul piano fisico! Di certo, quello che non sopportava, erano i provilegi accordati a qualcuno
(parlo soprattutto di Wimbledon, dell'etichetta formale, o del Queen's e
delle regole asfissianti e per lui, giovanotto americano degli anni
'70del XX secolo, ormai un cumulo di ipocrisie insopportabili). Però,
però... Ricordiamoci che è un'autobiografia, ergo, ognuno tira l'acqua
al suo mulino...Per capirne un po' di più consiglio la lettura
del bel libretto: Essere John McEnroe di Tim Adams edito nel 2005 da
Mondadori. Adams spiega il personaggio McEnroe e quello che ha
rappresentato per moltissimi.
3. Ancora sul suo carattere. Diciamocelo: chi, al
giorno d'oggi, non fa il tifo per McEnroe? Chi può permettersi di dire
che lo detesta? È una di quelle cosa che tra gli appassionati di tennis
non si può dire; un tabù, insomma... Questo oggi, naturalmente! All’epoca
aveva il particolare dono di farsi odiare dal pubblico (e dai giornali)
che all’inizio del match praticamente era tutto per lui e alla fine lo
fischiava sonoramente! Per capirsi, il New York Times una volta
lo etichettò come “the worst advertisement for our system of values
since Al Capone” (la peggior immagine del nostro sistema di valori dai
tempi di Al Capone). A differenza di Connors: il quale, pur essendo
discolo come lui, lo era in maniera totalmente diversa e sapeva
trascinar dietro a sé le folle (soprattutto alla fine della sua
carriera). Lui non riusciva a farsi amare dagli spettatori, anzi; quello
che rivediamo delle sue sceneggiate ora lo rivediamo con disincanto,
con affetto, come la testata di Zidane: ma lì, sul momento, a caldo,
John sapeva farsi proprio detestare anche dal pubblico. Al contrario di
Connors o Nastase, lui non rideva né faceva ridere. Come si può d'altra
parte odiare uno che giocava in quel modo, che ci metteva quella
passione, che affrontava, nel bene o nel male e bene o male, la sua vita
senza nascondersi dietro chicchessia! Questo gliene va dato atto...
Sono proprio curioso di sentire come la pensate voi…
4. La Davis: conosciamo tutti il rapporto che ebbe con la squadra del suo Paese. Ne scrissi anche su questo sito.
John ci tiene e ci teneva molto e anche questo aspetto lo allontanava
da Connors. Sono molti gli episodi che ricorda. E pensare che per due
anni, per non aver accettato di firmare un documento che la
Federazione americana pretendeva (un codice di autoregolamentazione),
saltò diversi incontri che lo avrebbero portato ben più in alto come
recordman assoluto. Forse non aveva la stoffa del capitano di
Davis (cosa che il fratello, invece, ebbe in abbondanza), ma anche così
fece buoni risultati (certo, avere Sampras e Agassi in squadra aiuta un
pochino); l'ultimo match poi lo giocò in doppio con Pete facendogli
uscire dall'animo un po' della furia agonistica tipica di John!
Straordinario...
5. Droga e doping. Argomento sempre delicato. John
sostiene di aver fatto uso di droghe leggere, leggasi marijuana, e che
nelle scorribande con Vitas e Borg, probabilmente circolava anche
qualcosa di più dell'alcool o di qualche spinello... In una
intervista del 2000 ammette anche l'utilizzo di cocaina, negando sempre
che queste sostanze lo abbiano aiutato nel suo gioco. I tempi erano
quelli, le leggi non c'erano o comunque non erano severe. Di doping
dunque non ne parla. Parla di come lo avessero accusato di doping quando
dopo circa sette mesi di rinuncia alle competizioni per ritrovare la
voglia si presentò con un corpo trasformato: lui dà la colpa a un
eccesso di allenamento e basta (e di scarsi risultati). C'è da dire che
di droga si parla spesso in questo libro anche in relazione alla ex
moglie, la bella Tatum, la quale aveva sviluppato una seria dipendenza a
diverse droghe, ma anche ad anti-depressivi (tanto che poi i
figli vennero affidati a John). Nelle polemiche seguite alla
pubblicazione dell'autobiografia, tra altre cose, la moglie denuncia
anche l'ultilizzo da parte di John di steroidi. Forse non sapremo mai la
verità, ma dei dubbi su quel periodo paiono quantomeno leciti, e non
solo su John...
6. Chicche. Il libro si chiude con 10 suggerimenti
di John su come migliorare il tennis di oggi (ve li risparmio), ma
soprattutto con 25 aneddoti davvero niente male. Quello che mi piace di
più è questo: John aveva sempre con sé una chitarra per gli attimi
liberi; a Wimbledon 1982 stava nella sua camera strimpellando
quando bussa alla porta David Bowie per invitarlo a bere qualcosa nella
sua camera: “Solo non portare la chitarra, mi raccomando”, chiuse l’invito...
Nota personalissima: se c’è una cosa extra-tennistica che invidio a
McEnroe è una e una sola (vabbè, oltre ai soldi): aver conosciuto Bob
Dylan! Che ci volete fare, contro i sogni di gioventù non ci si può far
nulla… (attendo a testa alta i vostri commenti sprezzanti a riguardo!)
7. Impressione finale: alle volte i libri sono come le persone, più di quello che vedi ti colpiscono le sensazioni. È
un libro scritto bene, in prima persona, con il piglio che uno si
aspetterebbe da McEnroe, ma che alle volte dà l’idea
dell’autoassoluzione, ma attenzione: mai dell’autocelebrazione;
McEnroe avrà, lo dice lui stesso, un ego smisurato, ma non mi sembra
uno che si gonfia troppo a sproposito. Parlando di ego, dice,
giustamente, che per essere al top di uno sport individuale come il
tennis è impossibile non avere un ego smisurato; che alle volte si veda
(Connors) e altre volte no (Borg?) è un altro paio di maniche. Non è un
male né un peccato. Alle volte magari è dettato dalle circostanze e da
chi vi circonda. Sposando questa tesi sostengo che anche uno come
Federer abbia un ego molto accentuato, e perciò certi errori, col senno
di poi e da questo divano (seppur scomodo), si spieghino anche con
questo aspetto del carattere di Roger. Anche se penso Roger abbia avuto
abbastanza umiltà tennistica da cercare aiuto in alcuni coach. Di Nadal e
Djokovic non dico nulla, si vede lontano un chilometro quanto il loro
“ego” sia spiccato, sebbene siano due “ego” diversissimi tra loro.
Concludo ribadendo un concetto già espresso: è la verità
quella che racconta John? I dubbi sono forti, certo, però è una visione
della realtà molto molto vicina a quello che uno si aspetterebbe se
potesse entrare nel cervello di McEnroe...
Recensione pubblicata su Ubitennis l'11 ottobre 2011