venerdì 29 giugno 2012

Battaglia di rovesci: Almagro vs. Gasquet

Day 5 a Wimbledon: Nicolas Almagro vs. Richard Gasquet. Due dei pochissimi rappresentanti di un genere in estinzione che a Wimbledon ancora possono godere di un po’ di tregua: il rovescio a una mano.



Battaglia di rovesci: Almagro vs. Gasquet
..quasi come il mio..
Se dovessimo scegliere una sola delle diverse interessanti partite di oggi sceglieremmo il confronto tra lo spagnolo Nicolas Almagro, numero 12 delle classifiche mondiali e il numero 18, il francese Richard Gasquet, che si terrà da ultimo sul campo n. 1 ed è valevole per il terzo turno dei Championships.
I motivi sono molteplici, partiamo da quello estetico. Entrambi sono portatori sani di una malattia oramai quasi debellata: il rovescio a una mano. Possiedono due tra i più belli ed efficaci colpi del circuito (accanto al loro mettiamo pure quello di Wawrinka e, ça va sans dire, quello di Roger Federer).
Se il rovescio a una mano sulla terra o sul cemento è diventato quasi penalizzante, tanto che solo circa il 10% dei primi 100 giocatori al mondo lo utilizzano, sull’erba questa modalità offre delle variazioni al gioco che rendono più competitivi questi giocatori. Parliamo degli effetti come il backspin, lo slice, la possibilità di nascondere maggiormente le palle corte, la possibilità di colpire più bassi, dato che sull’erba la pallina non rimbalza così alta come sulle altre superfici.

I precedenti tra i due vedono in vantaggio 3-0 lo spagnolo. I confronti però si sono tenuti o sulla terra, per due volte, o sul cemento e il punteggio è sempre stato in bilico: ben due i tie-breaks.
Certo sull’erba sarà un’altra partita. Lo spagnolo, preferendo come tradizione vuole il mattone tritato, dovrà impostare il match su altri binari, ma a sua volta è forse superiore in questo momento al francese nel servizio, che a Church road sempre fa la differenza.
Dal suo canto, Gasquet, ex bimbo prodigio, ha raggiunto il suo più alto livello di gioco proprio sull’erba. Il suo indiscutibile talento lo portò fino alle semifinali nel 2007 dove perse da Federer. L’anno scorso perse invece ai sedicesimi contro Murray.
Nel suo carnet può anche contare su due titoli vinti sull’erba: Nottingham 2005 e 2006. Ricordiamo infine che è da poco affiancato da Riccardo Piatti che sta cercando di spingere Richard a giocare più vicino alla linea e ad essere più intraprendente e presente mentalmente.

Se dovessimo scegliere un favorito prenderemmo Gasquet visto il suo talento, i suoi precedenti e la sua recente guida tecnica, a patto che riesca a rimanere mentalmente in partita: su questo forse Almagro parte favorito.

Da seguire con un occhio di riguardo vi raccomandiamo i match della Radwanska, della Clijsters contro la Zvonareva, Youzhny (altro rovescio da Accademia delle belle arti) vs. Tipsarevic e poi il tifo speciale da riservare alla nostra Camila Giorgi opposta a Nadia Petrova.

Il programma completo lo trovate a questo indirizzo http://www.wimbledon.com/en_GB/scores/schedule/index.html


Articolo pubblicato su VAVEL il 29 giugno 2012

giovedì 28 giugno 2012

McEnroe secondo McEnroe (1)

TENNIS - Recensiamo "Serious", l’autobiografia di McEnroe, datata 2002 e non ancora tradotta in italiano. Il genio ribelle più famoso del tennis si racconta a modo suo. Molteplici sono gli spunti sul tennis attuale e su quello passato: in questa prima parte ne affrontiamo tre: la qualità del prodotto editoriale, il magico Super Saturday dello Us Open 1984 e la rivalità con Bjorn Borg



serious


Contravvengo ai miei primi propositi (recensire libri italiani di qualche tempo fa per riscoprirli) facendo un’eccezione succulenta. M’hanno graziosamente regalato "Serious" di John McEnroe, in lingua originale: autobiografia scritta nel 2002 con, o meglio, da James Kaplan (giornalista, sceneggiatore e scrittore). Ho notato che nessuno ne ha scritto in questo sito perciò pensai, come avrebbe detto un mio avo: chi non peccherebbe?
Ecco l’edizione che ho tra le mani:
John McEnroe, with James Kaplan, -Serious. The autobiography.
Londra : Little, Brown, 2002 (edizione paperback) - 346 p. - £ 9,99
ISBN : 9780751534214
N.B.: Non tradotta in italiano.
Questa è l’edizione inglese; quella americana ha un altro titolo: You cannot be serious. Titolo non esattamente originale; curiosità: chi di voi sa davvero quando fu pronunciata questa frase? Per chi non lo sapesse era martedì 23 giugno 1981, Mac e Tom Gullikson sono in campo, sul campo 1, per un match di primo turno a Wimbledon, 1-1 nel primo set, 15-40 servizio McEnroe.
Insomma, signori, come si fa a resistere dal leggerla? E come si fa a desistere dal raccontarla quando se ne ha la possibilità (non dico le capacità)? Tanto più che non mi risulta tradotta in italiano (ma potrei sbagliarmi: attendo vostre eventuali rimostranze). Tra l’altro proprio in questi giorni (scrivo durante e poco dopo gli US Open 2011) c’è stata una sorta di battibecco tra il commentatore McEnroe e Andy Roddick. Cos’è successo? Semplicemente che Roddick, dopo il primo turno agli US Open, s’è rifiutato di farsi intervistare se John si fosse anche solo presentato nello studio ESPN. Questo perché McEnroe si era permesso di criticare il gioco di Andy durante lo scorso Wimbledon e per un altro paio di commenti in generale sui giocatori attuali. Roddick nell’intervista poi parlò anche dei commentatori sportivi e del tennis, dicendo che è il lavoro più facile del mondo e che ognuno può essere un esperto. Anche noi di Ubitennis, aggiungo io…
Si sono poi ovviamente susseguite le dichiarazioni di stima dei due uffici stampa, ma questa volta John si è astenuto dal fare polemiche (e soprattutto dal presenziare all’intervista). Negli ultimi tempi Roddick sta un po’ deludendo dal punto di vista comportamentale, fuori e dentro il campo. Già ne scrissi (curiosamente intitolando Super Brat Andy) dopo la partita contro Cipolla a Madrid 2011 e che potete rileggere qui: la sensazione è che l’ex numero uno degli USA sia decisamente sotto pressione. Ad ogni modo, questa è un’altra storia…
Tornando alla biografia: visti i numerosi spunti di riflessione che sono sorti sul tennis attuale e su quello passato divideremo questo pezzo in due, sperando di interessarvi un po’: Ecco gli spunti sorti, leggendo il testo, sul mondo del tennis attuale:
1. Volevo anche iniziare questa recensione così:
Ho letto l’autobiografia di un famoso tennista americano, scritta molto bene più che altro da un professionista della scrittura. Questo giocatore era uno che sin da giovane cercava di andare contro l’estabilishment ingessato del tennis della propria epoca soprattutto con il comportamento e a Wimbledon trovava il suo palco principe; fu uno dei primi ad avere contratti e sponsorizzazioni (anche con una nota marca di vestiti americani che ha uno swoosh come logo), che è passato attraverso alcuni periodi di crisi tennistica (tanto da ritirarsi per qualche tempo per riprendere la “voglia” di giocare e per allenarsi meglio). Fece uso di droghe, si sentiva molto solo e vuoto nella sua vita personale e nel circuito anche se era al top delle classifiche e solo dopo un matrimonio fallito con una nota attrice e altre storie minori ha trovato una donna (famosa pure lei) con la quale sentirsi finalmente “realizzato e felice”. Dopo aver appeso la racchetta professionistica al chiodo ha trovato occupazioni che ancora lo mettono sotto i riflettori e spesso lo si vede comunque a esibizioni tennistiche che richiamano sempre molti spettatori: di chi sto parlando? Nossignori non è Agassi, ma McEnroe.
Insomma, questo per dire un paio di cose: che ultimamente le biografie dei tennisti sono molto migliorate dai tempi di Tracy Austin grazie agli scrittori che le rendono decisamente godibili, nello specifico, sembra davvero di sentire John o Andre parlare, nel senso che lo stile adottato si avvicina molto al personaggio che si racconta (quella di Agassi più di quella di McEnroe).
Sembra quasi che l’autobiografia di McEnroe sia la sorella maggiore di quella di Agassi, e non solo dal punto di vista della trama, come sopra ho raccontato), ma anche come tipologia di prodotto editoriale.
Curiosità: ultimo match in singolare di John a Wimbledon fu proprio contro Agassi nell’anno in cui Andre vinse il suo primo Slam; va da sé che McEnroe sostiene che fossero proprio i consigli che diede ad Andre qualche settimana prima a far vincere il Kid di Las Vegas.

2. Super Saturday. McEnroe parla del primo Super Saturday agli US Open (8 settembre 1984). Lui stesso andò in campo alle sette di sera dopo che Lendl aveva sconfitto Cash in cinque set e Martina Navratilova battuto in tre set la Evert in finale. John invece affrontava il suo vero nemico di sempre: Jimmy Connors. Anche McEnroe vinse al quinto: era quasi mezzanotte. Il giorno dopo non riusciva a camminare, Ivan negli spogliatoi faceva fatica a piegarsi per toccare le punte dei piedi… Da allora non è che gli organizzatori abbiano saputo migliorare le cose, visto che anche quest'anno le discussioni si sono sprecate… Certo, se già da allora i giocatori avessero fatto più pressioni, chissà…Per inciso: che sabato di tennis quello!!!!!

3. Quando si ritirò Borg (praticamente subito dopo la finale US Open del 1981, ufficialmente qualche tempo dopo: si vede il bell'articolo nel 30esimo anniversario dell'ultimo torneo vinto dallo svedese, John non aveva più punti di riferimento. Sia dal punto di vista sportivo, sia, in un certo senso, da quello umano. In effetti, Borg fu in un certo senso un mentore per McEnroe, e in campo era uno dei pochi a riuscire un po’ a calmarlo (mi ricorda la vicenda Sivori-John Charles, il Gigante buono). Fin da quando s’affacciò tra i pro, McEnroe aveva in Borg l’Orso da battere; insomma, faceva corsa su di lui… Rimasto solo, gli stimoli scemarono; per qualche anno non sapeva più dove girarsi per cercare qualcuno da battere, certo, rimaneva lui stesso: l’avversario più difficile per tutti, il proprio Io…
Perciò mi chiedo: cosa succederà quando si ritirerà Roger? E Rafa? Che cosa farà Nole? Alla fine penso sia proprio quello che sia successo a Nadal e a Wimbledon e a Flushing Meadows: quando in finale s’è visto negli spogliatoi Djokovic son sicuro abbia detto tra sé e sé: “Ehi, un momento, dov’è quel vecchietto svizzero che di solito trovo in questi lidi?”. E durante la partita si sarà certo detto: “Ma com’è che il mio gioco non fa più male a questo giovanotto?”. Ed è quello che avrà pensato qualche anno fa Federer. Ed è quello che pensò McEnroe quando con Sampras diciannovenne pensava bastasse stare un po’ più dietro per batterlo (in realtà gli era accaduto anche prima con Becker, Lendl e altri): “It’s never possible to be prepared when the future takes over from the past”. È impossibile essere preparati quando il futuro sopravanza il passato, chiosa Johnny…
Rimandiamo alla prossima settimana le considerazioni più strettamente legate all’autobiografia… To be continued (direbbe John)…

Recensione pubblicata su Ubitennis il 3 ottobre 2011

McEnroe secondo McEnroe (2)

TENNIS - Seconda parte della recensione di "Serious", l’autobiografia di McEnroe, datata 2002 e non ancora tradotta in italiano. Il grande "Mac" si racconta a modo suo. Molteplici sono gli spunti sul tennis attuale e su quello passato: il suo carattere, la sua vita privata, il rapporto con la droga e con sé stesso. Ma poi: avrà detto tutta la verità? (La prima parte).  



mcenroe


Riprendiamo l’analisi dell’autobiografia del mitico McEnroe. Dopo una prima parte dedicata ai contatti con l’attualità ecco gli spunti sulla vita di John legati al passato e all’analisi del libro in sé...
Riassumo brevemente la vita di John extra-tennis.
Dopo un primo matrimonio abbastanza disastroso con Tatum O’ Neal (attrice americana, famosissima da bambina e figlia d'arte) dalla quale ebbe tre figli, si è risposato con Patty Smyth (da non confondersi con la quasi omonima super-star del rock; sebbene anche questa Patty Smyth sia famosa come cantante); anche da Patty Smyth ha avuto due figli, a cui aggiungerne un altro che Patty ebbe da una precedente relazione. Dopo la carriera tennistica John ha intrapreso attività legate al tennis (capitano di Davis, commentatore per le tv americane e inglese), ma anche extra (dagli esiti alterni): chitarrista, mercante d’arte, conduttore tv e chissà cos’altro… Alla fine dell’autobiografia stava meditando di entrare in politica… Inquieto…
1. La solitudine dei numeri primi. Sgombriamo dubbi di storie di infanzie infelici: John ebbe una famiglia ottima alle spalle (anzi, povera mamma: vi immaginate essere la mamma di McEnroe che a ogni cosa che gli diciate lui risponde: "you cannot be serious" o amenità del genere: scherzo, disse che spesso invece si vergognò, col senno di poi, di quanto asino sia stato con lei). Insomma, i suoi lo spinsero, ma non lo tormentarono con il tennis. Lui fu comunque anche da piccolo piuttosto ribelle, o meglio, io lo definirei autonomo e in un certo senso, solitario…Non fu però una solitudine cercata se non fino a un certo livello. Quello che non fece il suo carattere lo fece il mondo del tennis. Ad esempio non ebbe quasi mai allenatori o un entourage allargato quando era in auge! Un po’ perché all’epoca non usava (sarebbe stato eccentrico vedere un clan Djokovic o un clan Nadal), un po’ perché non riusciva a lavorare con altri (soprattutto gli altri non riuscivano a lavorare con lui, temo)… Nei primi anni si accompagnava agli altri tennisti; con alcuni dei quali fece amicizie durature, altri addirittura lo svezzarono sotto diversi punti di vista (Borg, ma soprattutto Vitas Gerulaitis)
2. Il suo comportamento: non che si scusi, per carità, però John dà un'interpretazione ai suoi celeberrimi atteggiamenti. C'è da dire che ormai, forse come allora, non si è molto obiettivi nel ricordare com'era e quello che faceva in campo perché a un certo punto la cronaca si fa mito. Lui stesso dice di rendersene conto, di sapere di non essere stato Arthur Ashe, ma ne cerca anche le spiegazioni. Più o meno tutto il libro verte su questo lato del suo carattere, a partire dal titolo. Non lo faceva né per procurarsi dei vantaggi, né per provocazione, né per ostentazione. Dice semplicemente che gli scattava un qualcosina n testa e si aprivano le bocche dell'inferno... Se avesse saputo domarsi un po' forse avrebbe vinto partite che invece gettò al vento (una su tutte, finale Roland Garros '84); però non sarebbe stato John McEnroe! Dice anche, e credo sia la verità, che era un business per tutti: per gli organizzatori, per gli arbitri, per gli spettatori, per gli altri giocatori.
Ha e aveva comunque il senso e il rispetto per la storia, contrariamente a quanto si pensi; un esempio su tutti, ricorda che fu Don Budge in una telefonata a suggerirgli come giocare contro Lendl. Era reduce da un filotto niente male di sconfitte contro Ivan il Terribile. Donald gli consigliò di smetterla di dare angoli a Ivan per i suoi passanti. Da quel momento fu lui a rendergli una sequenza di vittorie... Poi Ivan lo sopravanzò ancora, soprattutto sul piano fisico! Di certo, quello che non sopportava, erano i provilegi accordati a qualcuno (parlo soprattutto di Wimbledon, dell'etichetta formale, o del Queen's e delle regole asfissianti e per lui, giovanotto americano degli anni '70del XX secolo, ormai un cumulo di ipocrisie insopportabili). Però, però... Ricordiamoci che è un'autobiografia, ergo, ognuno tira l'acqua al suo mulino...Per capirne un po' di più consiglio la lettura del bel libretto: Essere John McEnroe di Tim Adams edito nel 2005 da Mondadori. Adams spiega il personaggio McEnroe e quello che ha rappresentato per moltissimi.
3. Ancora sul suo carattere. Diciamocelo: chi, al giorno d'oggi, non fa il tifo per McEnroe? Chi può permettersi di dire che lo detesta? È una di quelle cosa che tra gli appassionati di tennis non si può dire; un tabù, insomma... Questo oggi, naturalmente! All’epoca aveva il particolare dono di farsi odiare dal pubblico (e dai giornali) che all’inizio del match praticamente era tutto per lui e alla fine lo fischiava sonoramente! Per capirsi, il New York Times una volta lo etichettò come “the worst advertisement for our system of values since Al Capone” (la peggior immagine del nostro sistema di valori dai tempi di Al Capone). A differenza di Connors: il quale, pur essendo discolo come lui, lo era in maniera totalmente diversa e sapeva trascinar dietro a sé le folle (soprattutto alla fine della sua carriera). Lui non riusciva a farsi amare dagli spettatori, anzi; quello che rivediamo delle sue sceneggiate ora lo rivediamo con disincanto, con affetto, come la testata di Zidane: ma lì, sul momento, a caldo, John sapeva farsi proprio detestare anche dal pubblico. Al contrario di Connors o Nastase, lui non rideva né faceva ridere. Come si può d'altra parte odiare uno che giocava in quel modo, che ci metteva quella passione, che affrontava, nel bene o nel male e bene o male, la sua vita senza nascondersi dietro chicchessia! Questo gliene va dato atto... Sono proprio curioso di sentire come la pensate voi…
4. La Davis: conosciamo tutti il rapporto che ebbe con la squadra del suo Paese. Ne scrissi anche su questo sito. John ci tiene e ci teneva molto e anche questo aspetto lo allontanava da Connors. Sono molti gli episodi che ricorda. E pensare che per due anni, per non aver accettato di firmare un documento che la Federazione americana pretendeva (un codice di autoregolamentazione), saltò diversi incontri che lo avrebbero portato ben più in alto come recordman assoluto. Forse non aveva la stoffa del capitano di Davis (cosa che il fratello, invece, ebbe in abbondanza), ma anche così fece buoni risultati (certo, avere Sampras e Agassi in squadra aiuta un pochino); l'ultimo match poi lo giocò in doppio con Pete facendogli uscire dall'animo un po' della furia agonistica tipica di John! Straordinario...
5. Droga e doping. Argomento sempre delicato. John sostiene di aver fatto uso di droghe leggere, leggasi marijuana, e che nelle scorribande con Vitas e Borg, probabilmente circolava anche qualcosa di più dell'alcool o di qualche spinello... In una intervista del 2000 ammette anche l'utilizzo di cocaina, negando sempre che queste sostanze lo abbiano aiutato nel suo gioco. I tempi erano quelli, le leggi non c'erano o comunque non erano severe. Di doping dunque non ne parla. Parla di come lo avessero accusato di doping quando dopo circa sette mesi di rinuncia alle competizioni per ritrovare la voglia si presentò con un corpo trasformato: lui dà la colpa a un eccesso di allenamento e basta (e di scarsi risultati). C'è da dire che di droga si parla spesso in questo libro anche in relazione alla ex moglie, la bella Tatum, la quale aveva sviluppato una seria dipendenza a diverse droghe, ma anche ad anti-depressivi (tanto che poi i figli vennero affidati a John). Nelle polemiche seguite alla pubblicazione dell'autobiografia, tra altre cose, la moglie denuncia anche l'ultilizzo da parte di John di steroidi. Forse non sapremo mai la verità, ma dei dubbi su quel periodo paiono quantomeno leciti, e non solo su John...
 6. Chicche. Il libro si chiude con 10 suggerimenti di John su come migliorare il tennis di oggi (ve li risparmio), ma soprattutto con 25 aneddoti davvero niente male. Quello che mi piace di più è questo: John aveva sempre con sé una chitarra per gli attimi liberi; a Wimbledon 1982 stava nella sua camera strimpellando quando bussa alla porta David Bowie per invitarlo a bere qualcosa nella sua camera: “Solo non portare la chitarra, mi raccomando”, chiuse l’invito...
Nota personalissima: se c’è una cosa extra-tennistica che invidio a McEnroe è una e una sola (vabbè, oltre ai soldi): aver conosciuto Bob Dylan! Che ci volete fare, contro i sogni di gioventù non ci si può far nulla… (attendo a testa alta i vostri commenti sprezzanti a riguardo!)
7. Impressione finale: alle volte i libri sono come le persone, più di quello che vedi ti colpiscono le sensazioni. È un libro scritto bene, in prima persona, con il piglio che uno si aspetterebbe da McEnroe, ma che alle volte dà l’idea dell’autoassoluzione, ma attenzione: mai dell’autocelebrazione; McEnroe avrà, lo dice lui stesso, un ego smisurato, ma non mi sembra uno che si gonfia troppo a sproposito. Parlando di ego, dice, giustamente, che per essere al top di uno sport individuale come il tennis è impossibile non avere un ego smisurato; che alle volte si veda (Connors) e altre volte no (Borg?) è un altro paio di maniche. Non è un male né un peccato. Alle volte magari è dettato dalle circostanze e da chi vi circonda. Sposando questa tesi sostengo che anche uno come Federer abbia un ego molto accentuato, e perciò certi errori, col senno di poi e da questo divano (seppur scomodo), si spieghino anche con questo aspetto del carattere di Roger. Anche se penso Roger abbia avuto abbastanza umiltà tennistica da cercare aiuto in alcuni coach. Di Nadal e Djokovic non dico nulla, si vede lontano un chilometro quanto il loro “ego” sia spiccato, sebbene siano due “ego” diversissimi tra loro.
Concludo ribadendo un concetto già espresso: è la verità quella che racconta John? I dubbi sono forti, certo, però è una visione della realtà molto molto vicina a quello che uno si aspetterebbe se potesse entrare nel cervello di McEnroe...

Recensione pubblicata su Ubitennis l'11 ottobre 2011

Divina, la Suzanne Lenglen di Clerici

TENNIS - Presentiamo uno dei più famosi libri di Gianni Clerici, Divina, dedicato a Suzanne Lenglen. La prima Diva del tennis nonché campionessa assoluta. Un must per gli appassionati. Un modello per gli scrittori di tennis. Si tratta di una biografia da cui traspare l'amore verso la protagonista e viene utilizzata la finzione tipica del romanzo. Non è azzardato fare un parallelo con "Open" di Andre Agassi, altro capolavoro del genere. 



divina


Il primo (grande) amore non si scorda mai: vale anche per i libri. Questo libro, per me, è stata una rivelazione. Per diversi motivi.
Gianni Clerici - Divina. Suzanne Lenglen, la più grande tennista del mondo.
Roma : Fandango Libri, 2010 (prima edizione: Corbaccio, 2002) - 397 p. - Eur 10,00 - ISBN : 9788860441478

Lo lessi qualche anno fa, in uno dei miei primissimi anni di innamoramento del tennis. Mi rapì e mi fece capire alcune cose. Che il tennis ha una tradizione antica, con miti e tradizioni proprie. Che il tennis si presta molto bene a essere un soggetto letterario (a volte di alta letteratura) e che, anzi, diverse volte grandi scrittori (e grandi giornalisti) si sono ispirati al tennis. Come in questo caso. Anche se Gianni Clerici non ha bisogno di presentazioni, ricordiamo solo le parole di Italo Calvino: “Clerici è uno scrittore in prestito allo sport”. Neppure questo libro è sconosciuto agli appassionati: lo presentiamo perciò a quei pochi che non lo abbiano ancora letto e lo consigliamo senz’altro come lettura estiva agli interessati, sono bellissime anche le foto (e le didascalie dell’autore).
Ritengo che sia proprio in questo libro che Clerici dia prova del suo essere scrittore piuttosto che “semplice” giornalista o storico. Più che non in 500 anni di tennis (la Bibbia per gli appassionati e secondo Enzo Biagi “il libro italiano più conosciuto dopo la Divina Commedia e Pinocchio”), più che nei suoi romanzi (come Zoo. Storie di bipedi e altri animali; Erba rossa; Alassio 1939; per citare solo i più conosciuti). Spiego le mie considerazioni: questo libro è essenzialmente una biografia, la biografia di Suzanne Lenglen narrata in rigoroso ordine cronologico, dopo ricerche storiche puntuali e rigorose. Però non è una cronaca. È tra le migliori biografie mai lette e certo una tra le migliori mai scritte su tennisti (dopo la compareremo con quella di Agassi).
Il perché è presto detto e si riassume in due motivi. Il primo è la passione e l’amore dell’autore verso la Divina; questo si avverte in ogni pagina e in ogni riga, anche se l’occhio rimane critico sempre, mai agiografico. Il secondo è la tecnica: la finzione tipica del romanzo (il libro si apre con il racconto dell’arrivo di un giornalista che si reca in calesse a casa della bambina Suzanne per un’intervista e l’autore ce la narra come se fosse il prologo di un film: si sente quasi il ruotare delle ruote sulle strade della Piccardia), lo stile tipico di Clerici fatto di termini desueti, francesismi o neologismi (acciaccapesta, incarognita, etc..), di ironia e costruzioni sapienti delle frasi, tese a creare la giusta aspettativa nel lettore e a incollarlo al testo; alle volte sembra addirittura quasi una pièce teatrale. Ci addentriamo così nel tennis e nella vita privata di Suzanne scoprendo la sua infanzia, il rapporto con i genitori, gli amori, le amicizie, la società tra le due guerre mondiali: insomma, la vita di un’attrice fatale dei courts. La prima, affascinante, imbattibile e irraggiungibile, delle molte Dive che il nostro sport ha conosciuto.
Chiudo questo indegno omaggio a un libro che mi ha letteralmente rapito in altri mondi facendo un parallelo con la recente biografia di Agassi dicendo che fanno parte di due universi comunicanti attraverso una semplice racchetta di tennis. Scritti benissimo entrambi, mentre Divina è un libro dal respiro di Vecchia Europa (a cavallo tra Francia, Inghilterra e Italia), Open è americano nel più profondo del midollo. È la stessa differenza che esiste tra mangiare una bourguignon con del Bordeaux a Montmartre e un hamburger (seppur di ottima qualità) con Coca-Cola a Central Park: de gustibus...Infine: quest’estate andrò a Nizza e Cannes con in tasca la copia ormai già consunta del libro di Clerici, a cercare il fantasma di Suzanne, vi farò sapere se anche questi posti sono diventati un gigantesco McDonald’s o se si possa respirare, ancora per poco, i profumi della Costa Azzurra della Divina che Clerici tanto ama e tanto fa amare.

Recensione pubblicata il 23 agosto 2011 su Ubitennis

Spingersi "Oltre la rete del tennis"

TENNIS - Ettore Trezzi, ex presidente del CR Lombardia, racconta in prima persona gli intrighi di palazzo che a suo dire hanno accompagnato le varie dirigenze federali. L'autore si espone in prima persona e fa nomi e cognomi, ma non aiuta il profano a comprendere certe dinamiche. Un libro più adatto a chi già conosce certe storie che al neofita desideroso di conoscerle.  

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Da quando, più di due mesi fa proposi a Ubitennis (che gentilmente ha acconsentito a una prova) questa rubrichetta di tennis e libri, mi misi a ricercare testi per rimpolpare la mia biblioteca (invero piccola).
A inizio luglio mi arriva il libro oggetto di questa recensione:
Ettore Trezzi
Oltre la rete del tennis. Note, aneddoti e riflessioni sul tennis italiano. Presentazione di Gianni Clerici, Tiziano Crudeli, Paolo Occhipinti, Gianni Rivera.
Gravellona Toce (Vb) : Paolo Acco Editore, 2008, 126 p. Eur 15,00 ISBN : 9788895902081
Come si dice: è capitato a fagiuolo...
Non mi si venga a dire che presento questo libro ora a causa delle indagini sulla FIT. O, meglio, sul suo presidente: non è questo. Ho aperto questo libro (arrivato assieme ad altri), proprio alla ricerca di qualche elemento in più per capire le dinamiche che dal passato a ora possono aver contribuito a formare questa Federazione. Premetto ancora che di tennis giocato ci capisco il giusto (diciamolo pure, pochino...), di politica tennistica attuale e passata ancor meno. Non ho una mia idea al riguardo, pertanto aprendo questo libro che in quarta di copertina promette un racconto personale di un avvocato, Ettore Trezzi, mai da me prima sentito nominare, che ha avuto alcune cariche all'interno del mondo tennistico lombardo e nazionale, da giocatore, dirigente di circolo e poi presidente del Comitato Regionale FIT della Lombardia oltre che, ad oggi, assessore del comune di Giussano, dove risiede, cercavo lumi.
Insomma, apro questo libro per cercare di capire qualcosa in più. Del passato e del presente (il racconto di Trezzi si ferma alla squalifica di Bolelli): da profano qual sono. Purtroppo rimango sinceramente deluso. Non per le tesi dell’avvocato Trezzi, ma per l’esposizione generale che non permette al lettore di districarsi tra nomi e fatti. Oltre agli errori ortografici che io, sinceramente, odio profondamente (forse una cura editoriale maggiore non avrebbe guastato a questo libro).
Certo, all’inizio del libro, confortato dalla stima che raccoglie nelle significative introduzioni, l’autore ci avverte che non ha badato molto allo stile, ma a redigere una sorta di memoria del suo ruolo di politico tennistico. Qua non si tratta di criticare uno stile (infatti non cercavo un romanzo per divertirmi una serata), ma di non riuscire a mettere bene a fuoco ciò di cui si sta parlando. Appaiono dunque fatti poco circostanziati di cui il lettore poco esperto in materia non capisce i precedenti né i collegamenti necessari con altri episodi. Le persone e i ruoli che rivestono non sono abbastanza chiari da non lasciare molti dubbi sul fatto che forse l’autore sia basato un po’ troppo sulle proprie impressioni. Vero è che viene più volte sottolineata che l’intenzione di base è quella di dare, come dire, la “propria versione” di fatti e retroscena.
E quali sono i fatti e i retroscena? Di cosa si parla? Si parla essenzialmente del ruolo che hanno avuto gli intrighi di palazzo e le ruffianerie politiche a livello tennistico locale, regionale e nazionale. E di come questa condotta non sia solo tipica della FIT, ma anche a livello superiore le cose non cambino poi molto. Inoltre si sottolinea come non si voglia cambiare questo status quo che permette a diverse persone anche qualche introito significativo attraverso rimborsi spese ed emolumenti vari a vario titolo, a volte anche nascosti. Secondo Trezzi la struttura non è adeguata alla modernità, alla democrazia, alla chiarezza; e quindi possono avere vita agevole personaggi più o meno positivi dalle capacità più o meno comprovate e dagli interessi più o meno nobili.
Ovviamente tutto ciò a discapito del tennis. Sia del tennis amatoriale che del tennis professionistico: ad esempio, l’Italia del tennis maschile professionistico che ha vissuto e per certi versi vive uno dei momenti peggiori della sua storia non essendo riuscita a sfruttare come avrebbe dovuto e potuto i successi che dai tempi di Panatta (e prima ancora di Pietrangeli) avevano creato le basi per sviluppare una base solida e dei giocatori di buon livello. Questo in quanto i dirigenti di cui Trezzi fa menzione non pensano a fare ciò che sarebbe necessario per il nostro sport (anche sbagliando, come diverse volte Trezzi riconosce di avere errato), ma puntano ad avere prebende oppure a ricompensare chi precedentemente lo aveva sostenuto, etc…
Non vorrei citare alcune cose che l’autore dice perché non essendo io a conoscenza delle situazioni, neanche superficialmente, non potrei neppure commentarle; ci sarebbe bisogno di un’indagine ad hoc (quantomeno giornalistica). Insomma, per riassumere: l’argomento è interessante, l’autore si espone, anche coraggiosamente e mi sembra con una certa franchezza, raccontando diverse cose quantomeno poco chiare o discutibili delle dirigenze passate e di quella presente (di cui contesta anche alcuni conflitti di interesse), purtroppo non dà ai lettori tutti gli strumenti necessari per capirci molto né per farsi un'idea indipendente. Forse chi già è a conoscenza di altri elementi qui può trovare conferme e/o smentite delle proprie tesi, oppure riesce a far combaciare tutti i pezzi del puzzle; io non ci sono riuscito.

Recensione pubblicata il 18 luglio 2011 


Elogio della...pallina da tennis

TENNIS - In questi giorni parigini in cui il principale argomento di conversazione sembrano le palline, ci vogliamo lanciare in un'appassionata difesa di questo gioioso apparentemente inanimato...Mentre Federer e McEnroe le accarezzano; Llodra le spara al di là delle recinzioni e tra gli spalti...e noi vi raccontiamo i mille pensieri che ci trasmette la pallina da tennis.  



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Per fare una partita di tennis ci vogliono pochi attrezzi: terra, rete, racchette, palline, uomo/donna...La cosa che non può assolutamente mancare, però, rimane la pallina; che è il vero ago della bilancia di tutto il gioco, l'ingranaggio più scontato, perciò il più importante...In questi ultimi giorni al Roland Garros sembra che tutto il mondo tennistico ruoti attorno alle palline (vedasi questo bell'articolo)
Federer anche ieri sosteneva che sarebbe meglio non cambiarle per tutta la stagione del rosso: anche Murray, Lorenzi e altri sostengono lo stesso, immagino con estrema gioia delle case produttrici...Lo sostiene anche il mio maestro che almeno da vent'anni non cambia le palline del suo cesto e mia madre quando doveva comprarne delle nuove...Ma : Considera la pallina (parafraso il Wallace in questo sito così venerato e nato a Itaca, vero eroe omerico)...Considerate, dunque, quanto poco considerate sono le palline...
Le palline vengono picchiate, insultate, a volte carezzate in certe volèe d'antan che fanno sprigionare afrori amorosi e desideri da Gianni Clerici. Considerate, dunque, le palline: alla rete possiamo supplire con un muretto, alle racchette possiamo rinunciare usando le mani o, non sia mai, i piedi, ma non possono mancare le palline e allora mi consolo parafrasando un titolo di un libro di Ligabue (il cantante, non il pittore) : La pallina se ne frega... C'è pallina senza tennis, non c'è tennis senza pallina...
Le palline sono il colore più gioioso del tennis: non il rosso marrone-fango-della-terra, non il verde speranza-delusa-che-infatti-si-tramuta-anch'esso-in-terra, non il blu posticcio e malinconico o gli ibridi tipo terra-blu, terra-verde, erba-gialla, erba-blu, et coetera ad libitum...
Le palline sono la unica colonna sonora del nostro sport che si tramuta in musica se il giocatore colpisce al centro della racchetta... Potente e ipnotico richiamo tribale dai riflessi pavloviani...
Le palline sono tanti piccoli mondi, tante piccole sfere celesti che insieme creano l'armonia dei pianeti tennistici...
Le palline sono vibrazioni ancestrali che passano dalla racchetta all'avambraccio dritte al cuore...
Le palline sono croce e delizia dei raccattapalle...
Le palline sono il bruscolino nell'occhio di falco: l'attimo fuggente che lascia, bontà loro, un'orma sulla terra...
Le palline erano bianche e innocenti, ora sono gialle e lucenti...
Le palline si fanno accarezzare come gentili Angora...
Le palline rimbalzano di gioia...
Le palline sono rotonde perché la sfera è perfezione...
La pallina è il puntino sulla “i” di tennis...
Eppure... Eppure le palline quando girano, soprattutto se girano male, sono ricoperte di insulti, vituperate, morse, schiacciate, scagliate oltre le recinzioni...
Nel mio unico giorno passato agli Internazionali di Roma, martedì 10 maggio, nell'unica vera partita che mi son goduto, mentre il bel Feliciano insultava assai poco elegantemente una ragazza dello staff rea di correre, peraltro piuttosto soavemente, fianco al campo n.3; Llodra se la prendeva con una pallina e la scagliava al di là dei bei alberi romani...
E, toh, reo confesso, lo ritroviamo ieri a fare lo stesso, stavolta mirando a una guardia che sugli spalti si stava inopinatamente muovendo, per poi lanciarsi in un lungo diverbio con il giudice Mohamed El Jennati in cui gli rammentava delicatamente che no, non siamo in un suk, mercato arabo che evidentemente Llodra reputa più vicino alla cultura dell'arbitro che alla sua, parigino che in quel giorno romano compiva 31 anni ed evidentemente è tanto raffinato quanto maleducato...
Con sciovinismo squisitamente transalpino (Nicolas Chauvin non per nulla era un soldato di Napoleone) nulla è seguito a questo incidente... (vedasi per questa notizia)
Che fine ingloriosa fanno queste palline...
Certo non la fine delle racchette: spaccate, spezzate in un impeto d'ira (si veda la povera racchetta di Gulbis di ieri), a volte appese come cimeli, in musei gloriosi e coccolate ben più di figli e nipoti...
Alle volte è meglio un giorno da racchetta che cento giorni da pallina, certo...Le palline vanno in pensione nei circoli di tennis più nascosti, tra le fauci di un poco nobile bastardino, o tutt'al più sotto gli armadi di casa mia...Dov'è dunque l'inferno e dov'è il paradiso delle palline? L'inferno delle palline è molto probabilmente fare da copri-gancio delle roulotte. Il paradiso, ne sono sicuro, è tra le mani della mia nipotina mentre me la lancia con un sorriso...

Pubblicato su Ubitennis il 26 maggio 2011
 

Lynn provoca un Nadal in mutande

TENNIS - Commentiamo un articolo apparso sul settimanale londinese The Sunday Times a firma di Lynn Barber (una giornalista che non si occupa abitualmente di tennis) questa settimana. Un "pezzo" molto duro con Nadal, che ha avuto già diverse critiche in tutto il mondo tennistico, in cui la giornalista tenta di mettere in cattiva luce il campione spagnolo. "Non dice quello che pensa" 

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Ci siamo imbattuti in una discussione del sito Bleacher Report (sito americano di giornalismo sportivo) riguardante un articolo pubblicato dal settimanale londinese The Sunday Times. Prima di iniziare a parlarne, per chi conosce l'inglese, diamo i riferimenti: la critica e la discussione all'articolo li trovate a QUESTO INDIRIZZO ed è firmata da Chris Chase. L'articolo in questione invece è firmato da Lynn Barber e lo trovate cliccando in un link del terzo paragrafo della pagina che vi abbiamo indicato prima (gli articoli del The Sunday Times sono a pagamento per cui non possiamo linkarvi direttamente a quel sito, ma solo alla trascrizione fatta da Bleacher Report che comunque è gratuita, ndr).
L'articolo suscita interesse perchè "fuori dagli schemi", e anche la reazione si presta a qualche considerazione che vorremmo condividere con voi. Intanto l'autrice: Lynn Barber non è una giornalista sportiva. Ha 67 anni ed è famosa soprattutto per le sue interviste (per cui ha vinto diversi premi) e per i suoi libri (anche autobiografici) che spesso sono incentrati su argomenti "piccanti". È stata anche giornalista per Penthouse. Insomma, non ho letto altro di lei, ma sembrerebbe poco interessata al lato sportivo di Nadal. Durante gli Internazionali d'Italia riesce ad ottenere un'intervista con Rafa, perciò segue la sua partita (contro Lorenzi) e poi viene ricevuta nell'hotel dello spagnolo per intervistarlo mentre lui è sottoposto a un massaggio. È presente anche Benito Perez-Barbadillo, PR del tennista, che lo aiuta nella traduzione dall'inglese.
Lynn Barber introduce subito il suo articolo esprimendo parte della sua antipatia nei confronti di Rafa. Ecco le ragioni: 1) Perché la riceve in mutande (essendo sul lettino del massaggiatore) 2) Perché parla male l'inglese e quindi si fa aiutare nelle traduzioni che vengono però diluite nel linguaggio dei PR...3) Perché secondo lei è troppo stanco (dice che le ripetono che ha avuto una brutta giornata, ma che è il suo lavoro e ha solo giocato una partita e firmato autografi)...
Poi continua rivolgendogli domande abbastanza "spinose", nessuna di argomento tennistico, insinuando alcune cose:
1. Che il suo rapporto con la fidanzata non può essere soddisfacente (perché si vedono poco).
2. Che non si sposerà con lei perché non ci vede nessuna passione, anche se avere una fidanzata lo mette al riparo dalle insinuazioni sull'essere omosessuale (dice che con quelle canotte le ricorda Freddy Mercury).
3. Che non ha temperamento (cita McEnroe, Agassi, Connors; ah, che originalità!).
4. Che viene trattato dai giornalisti come fosse un bravo ragazzo con i piedi per terra solo perché non cambia il cellulare da un anno
 Insomma, tutta una serie di commenti personalissimi e molto provocatori.
Poi parlano di Tiger Woods, che Rafa dice di ammirare non addentrandosi in commenti sulla sua vita privata mentre lei insiste nel fargli vedere una certa ipocrisia nella figura pubblica del golfista in confronto alle sue vicende personali. Parlano della droga e di Agassi, ricordando quella che per lei è l'unica posizione un po' forte di Rafa, Per il resto si nota che la giornalista ritiene che lui non dica quello che pensa, ma quello che gli impongono di dire. Nel complesso è un articolo abbastanza impietoso nei confronti non tanto di Rafa quanto della vita che fa. Il commento del Bleacher Report si scaglia contro questa visione, facendo notare che non c'entra nulla con il tennis e che è incentrato solo a diffamare Rafa.
Però, però...
A me piace molto Rafa, l'immagine che traspare di lui è quella di una bravissima persona, etc... etc...
Però alcune notazioni che fa la scrittrice sono molto interessanti...Non su Rafa, ma sulla vita di questi sportivi ultra-famosi che stanno sotto l'occhio dei riflettori 24 ore su 24, 365 giorni l'anno; e che quindi sono costretti a essere sempre misurati, irreprensibili per non incorrere nelle ire di sponsor e mass-media (come è successo a Tiger Woods, ma anche a Rooney, e ultimamente a Giggs)! L'impressione che ho personalmente avuto è che si cercasse a tutti i costi lo scoop, o il caricare i toni di sfumature che non penso facciano parte del mondo di Rafa, solo per ricavarne un articolo "forte". La questione di fondo sulla quale sembra comunque interessante ragionare è: vale la pena vivere una vita così controllata e che DEVE essere immacolata in nome dello sport (ma più che altro in nome delle logiche commerciali dello show business)?
Secondo la giornalista evidentemente no, secondo Rafa evidentemente sì; e secondo voi?

Articolo pubblicato su Ubitennis il 11 giugno 2011 


Più dritti, vero Aaadriaanooo?

TENNIS - Breve recensione del libro che racconta in prima persona le gesta dell’ultimo vero campione italiano. Uno che era amico di Borg e lo batteva due volte a Parigi, ma anche di Nastase, di Hoad, e di molti altri… Uno che agli occhi dei più grandi avrebbe dovuto vincere Wimbledon… Uno che ha saputo ricominciare avendo perso ogni centesimo dei propri risparmi… Uno che fa dire ad Ubaldo: “Quanta nostalgia”TRA I COMMENTI UN BEL RICORDO DI DANIELE AZZOLINI 



panatta
Dopo la recensione della biografia di Paolo Bertolucci non poteva mancare su Ubitennis l’autobiografia di Panatta per la penna di Daniele Azzolini.
Adriano Panatta, Daniele Azzolini
Più dritti che rovesci. Incontri, sogni e successi dentro e fuori dal campo.
Milano : Rizzoli, 2009 - Collana Storie e miti, 116 - 211 p. - Eur : 17,00
ISBN : 9788817034753
Penso, come diversi colleghi e lettori di Ubitennis, di essere in debito con una generazione tennistica che però conosciamo solo attraverso l’aura ormai del quasi mito. Un po’ come le rovesciate di Bonimba e le cannonate di Rombo di Tuono. A livello mondiale, gli anni ’70 sono stati gli anni dell’esplosione del tennis che si diffuse in tutte le classi sociali e iniziò ad essere visto e considerato uno sport per tutti. In Italia è legato praticamente a un nome solo: Adriano Panatta. Tutti i tennisti in erba dell’epoca avrebbero voluto essere Panatta. Per l’Italia è stato una vera e propria icona; che ne so, un po’ come la Vespa… Almeno io, che non c’ero, la vedo così…
Il pregio di questa autobiografia è quello di aiutare a grattar via un po’ la superficie scintillante del “brand” Panatta e iniziare a far intravedere come Adriano abbia vissuto quegli anni, con il senno di poi, ovviamente… L’autobiografia ha una forma classica, divisa in brevi capitoli che in ordine temporale fanno parlare Adriano della sua vita; il corredo di fotografie non è molto esaustivo, e manca di un’appendice statistica che nel libro di Bertolucci, ad esempio, davano un valore aggiunto alla semplice biografia raccontata. Ci sono però dei capitoli monografici dedicati a dei tennisti o a dei temi che evidentemente Adriano sente di più: Borg, Hoad, Nastase, Connors, ma soprattutto Wimbledon. Forse il suo rimpianto, ma questo lo diciamo noi, non di certo lui, che di rimpianti con la racchetta ne ha pochi…
Traspare da questo libro un Panatta leggermente diverso da quello che le cronache rosa del tempo hanno tramandato… Meno frivolo di quanto potesse sembrare, mettiamola così! Dagli inizi della sua infanzia (lo chiamavano Ascenzietto: Ascenzio era suo padre, custode dei campi dove Adriano vide il primo tennis e i primi tennisti della “vecchia scuola”, come Pietrangeli) ai vertici del tennis nazionale e mondiale (da Ascenzietto ad Aaadriaanooo, insomma) Panatta non ha perso uno sguardo alle volte ironico e un po’ dubbioso su quello che gli capitava attorno…Di natura schivo, ma estroverso all’occorrenza (so che sembra un ossimoro, ma nessuno è mai bianco o nero) Adriano ci racconta le amicizie durature, ma soprattutto gli scontri con situazioni, persone e personaggi che fanno godibile questo libro. Non mi dilungo nel raccontare gli episodi già noti a tutti del suo rapporto con la Federazione o delle sue storie di Davis o del magico 1976.
Una delle cose ammirevoli nella sua vita è quella, come recita una famosa poesia di Kipling che Adriano ha letto anche a Wimbledon, di aver saputo considerare sia il trionfo sia la sventura degli impostori e di aver saputo ricominciare daccapo una volta perso tutto quello che aveva. Ad esempio in occasione della sfortunata carriera imprenditoriale, ma anche nella sua permanenza in federazione. Mi dà l’idea di una persona che crede in quello che fa e nelle sue potenzialità, ma non vuol scendere a certi compromessi (non è sempre vero, anzi quasi mai, che il fine giustifichi i mezzi). Questa è la sua grandezza e il limite del suo raggio d’azione. Anche nell’amicizia racconta di essere così: la chiarezza innanzitutto, poi si può accettare tranquillamente qualunque decisione degli amici (ad esempio quando Bertolucci accettò di capitanare la Davis al posto suo).
Non per questo è un bonaccione o una persona che possa accettare tutto. È caustico nel suo giudizio, ad esempio, verso Lendl. In una serie di commenti su questo sito, dei tifosi Lendliani hanno fatto notare come le frasi nel libro di Adriano verso i supporters del ceco li abbiano in qualche modo offesi. Questo è anche comprensibile. Perlomeno Panatta non si trincera dietro un buonismo di facciata, in cui tutti nel circuito sono considerati praticamente degli amici o quasi (vero Nadal?). Sono raccontate le litigate furibonde e i piccoli screzi, gli scherzi e le mattane di una generazione che vive il tennis in fondo per quello che era: un gioco che dava loro da vivere (più che dignitosamente, senza per questo raggiungere i montepremi vertiginosi del presente). E il suo stile in campo era così, mai banale, nel bene come nel male; si stufava a scambiare lunghi e noiosi pallettoni da fondo campo; spesso era lui a rischiare, e dotato di una classe e di un fisico adeguato raggiunse i risultati che sappiamo.
Come chiude il nostro direttore Ubaldo il breve profilo dedicato all’ultimo vero campione italiano nell'ultimo libro presentato agli Internazionali d'Italia 2011: “Quanta nostalgia...”

Pubblicato su Ubitennis il 9 novembre 2011 

Speranze inglesi

Day 4 a Wimbledon: la speranza inglese contro il bombardiere croato che proprio a Wimbledon si fece conoscere al grande pubblico. Match di interesse probante per l’allievo di Ivan Lendl.


Speranze inglesi
..andy in difesa..

Come da qualche anno a questa parte, tutti gli occhi british sono volti speranzosi verso Andy Murray. Scozzese quando perde, ma inglese quando vince, il buon (?) Andy ogni anno si dice fiducioso di poter competere per il titolo più prestigioso. Dai tempi di Fred Perry (1936) un suddito di Sua Maestà non alza il trofeo di casa, purtroppo abbiamo molti dubbi che quest’anno sia la volta buona.
Non dubitiamo della buona volontà di Murray che da qualche tempo si affida ai consigli addirittura di Ivan Lendl, spia della sua voglia di migliorare. Non si sono però ancora visti i frutti sperati di questa collaborazione, ma a nostro avviso quello che Ivan sta cercando di inculcare al suo neopupillo è una propensione maggiore all’attacco, strategia che sui prati londinesi è praticamente un must, nonostante le modifiche al manto erboso degli ultimi anni. Vero è anche che Andy si trova davanti tre mostri come Re Roger, Djokovic e Rafa Nadal. Dovesse riuscire a vincere uno Slam non si potrà dire che non se lo sia meritato.
D’altra parte abbiamo un gigante come Ivo Karlovic, croato, che parteciperà alle prossime Olimpiadi, sempre in quel di Wimbledon. I prati di Church Road sono gli unici scenari dello Slam che gli portano fortuna: suo miglior risultato è infatti un quarto di finale datato 2009, perso contro un certo Federer. Questo ovviamente è dovuto alla tipologia del suo gioco: Ivo è un bombardiere che dall’alto dei suoi 2 metri e 8 centimetri serve bordate che sull’erba diventano difficili da contrastare.
Ci si ricorda ancora un suo match contro il nostro Daniele Bracciali del 2005: 51 aces e partita durata 4 ore e 17 minuti, persa poi per 12-10 al quinto. Insomma, una vera e propria macchina da ace, specialista dei tie-break. Celebre poi è il suo profilo twitter dove Karlovic è spesso protagonista con fulminanti e spassosissime battute. Ormai a 33 anni il suo livello di gioco è sceso di molto, e lo stanno a testimoniare i risultati non brillantissimi dell’anno in corso. Sceso ormai al posto 59 del ranking, non crediamo presenti un’ostacolo insuperabile per il miglior ribattitore del circuito, che però dovrà stare solido e ben concentrato.
Tre soli i precedenti, datati 2007 e 2008, tutti sul cemento americano e tutti vinti dallo scozzese. Il match è programmato sul Centre Court come seconda partita della giornata dopo Serena Williams che inizierà alle 13. Il programma completo.



Articolo pubblicato su Vavel il 28 giugno 2012

mercoledì 27 giugno 2012

Goran "Crazevic" cavallo pazzo

TENNIS - Nel 2000 Goran Ivanisevic si autoelimina dal torneo di Brighton per mancanza di racchette, avendole spaccate tutte! Giocava contro Hyung Taik Lee: a un certo punto, dopo l'ennesima sfuriata, non trovò più Head Prestige nel suo borsone. Fu la prima e unica squalifica per "lack of appropriate equipment". Troppa passione e furia tra gli anni ’70 e il 2000 o troppo politically correct i nostri giorni? 

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Nell’ultimo decennio molti giornalisti e fans hanno preso il vezzo di criticare il circuito maschile per la mancanza di “personaggi”, spesso intendendo personaggi fuori dalle righe o scandalosi. Dove sono andati a finire, dicono, i vari McEnroe, Connors, Nastase? Certo ora con quel mattacchione di Djokovic e il sempre-sorridente Baghdatis va un po’ meglio. Ma chi si ricorda l’ultimo top player ad aver rotto una racchetta? O ad aver detto qualcosa fuori di scorretto?
È eccesso di politically correct?
D’altra parte, appena qualcuno fa o dice qualcosa fuori dal coro viene subito criticato e assalito dai giornalisti e dal pubblico. Perciò, chi glielo fa fare di essere spontaneo al 100%? Molto meglio sopportare domande insulse e punzecchiature e veri o falsi torti arbitrali con sincera o appena dissimulata galanteria e non farsi troppo nemici e rovinare la propria immagine (anche perché altrimenti lo sponsor ti molla). Ecco perché un Federer a rompere la racchetta contro Nole in semifinale sul cemento di Miami 2009 fa notizia!
Tra la generazione dei “ribelli” alla McEnroe e Connors e la “nostra” annacquata si potrebbe dire ci sia stato una sorte di interregno; da Lendl (bollato come antipatico) a Safin (gran lanciatore di racchette) ci sono state diverse gradazioni di personalità forti: gli stessi Sampras e Agassi, ma su tutti gran menzione d’onore va a Cavallo-Pazzo Ivanisevic. Uno che sicuramente non nasconde i propri sentimenti e il proprio pensiero: sia che fosse contento, amareggiato o incazzato. Certo questo gli costò diverse e salatissime multe e sanzioni, ma, che diamine!, meno male che ancora qualcuno non pensa alle conseguenze…
Indicativo quello che successe nel 2000 al Samsung Open di Brighton, Inghilterra.
Al primo turno battibeccò con una giudice di linea piuttosto in carne; al secondo turno si presentò in campo contro il coreano Hyung Lee con tre sole racchette (Head Prestige Classic 600, per gli interessati). Sul punto di 5-5 nel primo set, Goran perde l’undicesimo game e il controllo e spacca la prima racchetta (-2 racchette, quindi). Perso il primo set, riesce a vincere il secondo al tiebreak. Nel terzo, sull’1-1, perse alcune palle break incolpa la sua racchetta e la distrugge (pertanto -1 racchetta). Al game successivo commette doppio fallo e che fa? Esatto: scaraventa la racchetta al suolo demolendola. Riacquistata un minimo di lucidità va al borsone alla ricerca di un’altra racchetta, ma senza fortuna. Allora il giudice arbitro Gerry Armstrong non può far altro che allontanarlo per “lack of appropriate equipment”: manca di attrezzatura appropriata.
Ecco un video su questo episodio: vorrei farvi notare le facce dei raccattapalle!
Goran fu il primo (e penso unico) al mondo ad essere squalificato da un torneo ATP per questo. Per uno che le racchette le aveva gratis penso sia il colmo! Questo è certo estremo, ma un po’ più di sanguigna vitalità forse non guasterebbe nei tornei contemporanei.

Articolo pubblicato su Ubitennis l'11 gennaio 2011

L'amore più glamour di sempre

TENNIS - Amori e innamoramenti nel mondo della pallina gialla. Vi raccontiamo il caso più glamour di sempre: Jimmy Connors e Chris Evert. Nel 1974 erano sotto gli occhi di tutti e vinsero Wimbledon. La loro storia, tuttavia, si interruppe a un passo dal matrimonio. Furono Jimbo e Chrissie i precursori degli "amorazzi" di oggi.


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Gli anni Settanta. Figli dei fiori: peace and love. Nella società americana e in quelle europee più “avanzate” le questioni sentimentali passavano da una sfera strettamente privata a una dimensione pubblica, soprattutto per coloro esposti ai riflettori dei media. Ci volle poco affinché dalla cronaca d’informazione si passasse all’interesse morboso della stampa specializzata e del pubblico in generale. Anche nel mondo della racchetta l’interesse veniva rivolto non solo al gioco in sé per sé o, tutt’al più, alle rivalità sportive, ma anche agli affaires più o meno scandalosi. Una delle più belle peculiarità del tennis è che molti tornei si svolgono contemporaneamente per le edizioni maschili e per quelle femminili; e ancor di più che le tenniste sono seguite quasi quanto i maschietti, determinando un pari livello di professionismo tra i due sessi. Molte cose in comune, quindi; due mondi che spesso negli altri sport viaggiano su binari destinati a non incontrarsi mai, mentre nel tennis spesso si incontrano e all’occasione si scontrano.
Chissà quanti amori e attrazioni tra questi giovanotti accomunati da stili di vita simili, da comuni passioni e rinunce. Sicuramente anche nei bei tempi andati, ma da quando i sentimenti vengono sfoggiati in pubblico (per la gioia della stampa rosa e di chi la segue) ci siamo ultimamente imbattuti in amori tra tennisti. Alle volte tra tennisti al top delle loro carriere e delle classifiche. Gli esempi sono noti e ne facciamo una brevissima carrellata: partendo dal recente ritirato Carlos Moya e Flavia Pennetta; Lleyton Hewitt e Kim Clijsters; Roger Federer e Mirka Vavrinec: peraltro l’unica coppia non scoppiata…

Si risale però al 1974 per un gustoso anticipo. In quell’anno infatti James Scott Connors detto Jimmi o Jimbo e Christine Marie Evert detta Chris o Chrissie erano la coppia più “calda” del tennis. Vuoi per il fatto che stavano nell’Olimpo del tennis o vuoi per il fatto che erano i più glamour del momento, tutti i riflettori erano per loro a Wimbledon 1974. Molto univa questi due giovanotti americani sul campo e fuori. Sul campo il loro stile era comparabile: ancorati a fondocampo erano due metronomi che si affidavano al rovescio a due mani, alla tenacia e a una forza mentale straordinaria. Il ventunenne Jimmy e la diciannovenne Chrissie erano ufficialmente fidanzati e pensavano a fare il grande passo. Nel frattempo avevano viaggiato fino a Londra alla caccia del primo trofeo sull’erba più famosa del mondo.
E i fantasiosi bookmakers inglesi che fanno? Offrono una puntata speciale per loro: il Lovebird Double: l’Accoppiata dei Piccioncini, quotata 33 a 1; quindi, con una sterlina se ne vincevano 33 in caso delle rispettive vittorie nei tornei singolari. A chi aveva puntato i risparmi su di loro, al primo turno sarà venuto un mezzo infarto: la Evert dovette affrontare una maratona per venire a capo di Leslie Hunt: 8-6 5-7 11-9. Alla fine però vinse e il turno e i Championships! Anche Jimmy dovette battersi contro avversari tosti e momenti spinosi (contro Phil Dent e Jan Kodes soprattutto) per approdare in finale e incrociare le racchette con il trentanovenne Ken Rosewall. Jimmy sovratò il Piccolo Maestro, per dirla con Clerici, e ripagò della fiducia gli scommettitori dei fidanzatini. Il futuro era loro: almeno lo era il futuro tennistico, visto che la loro Love story si interruppe prima del fatidico “Sì”. 

Articolo pubblicato su Ubitennis il 31 gennaio 2011

The Match of the Day: Djokovic vs. Harrison

Da oggi cercheremo di segnalarvi quale partita secondo noi sarà interessante da seguire per motivi tecnici, ma non solo. Il tennis è fatto di giocatori, quindi di persone, e le storie si intrecciano inevitabilmente con la pura tecnica e con la nuda tattica. Day 3 a Wimbledon: abbiamo scelto di analizzare per voi l'ultimo match sul Centrale: Djokovic vs. Harrison.

..dev'essere bellino avere qualcuno che crede in te..

Quarta e ultima partita di oggi sul mitico Centre Court vedrà il numero uno del mondo e detentore del titolo Novak Djokovic opposto a uno dei giovani più interessanti e promettenti, lo statunitense Ryan Harrison.
I due giocatori arrivano al secondo turno dopo aver superato in maniera diversa il primo ostacolo. In scioltezza Nole si è sbarazzato del mosquito Juan Carlos Ferrero, già detentore di uno Slam, nel classico match d’apertura di Wimbledon. Con un po’ di fatica Harrison ha invece superato in quattro partite Yen-Hsun Lu di Taipei.
Pensiamo possa essere un match interessante non tanto per il risultato (Djokovic è nettamente favorito) quanto per vedere la distanza tra due generazioni di tennisti. Nole è il presente del tennis, ha 25 anni, è nel pieno della maturità fisica e tecnica e anche quest’anno gioca per ottenere grandi risultati dopo l’annus mirabilis che fu il 2011. Harrison ha 20 anni e sta cercando di accumulare l’esperienza necessaria per fare il definitivo salto di qualità (tanto per citare un dato: sarà il suo quarto match a Wimbledon, il quattordicesimo sull’erba). Attualmente è numero 48 del mondo e si porta sulle spalle un ingombrante macigno: essere il futuro del tennis americano.
Il giovane statunitense arriva però da un buon allenamento sull’erba, ha raggiunto infatti le semifinali a Eastbourne meno di una settimana fa, perdendo dal nostro Andreas Seppi. Quest’anno Ryan non è stato fortunato nei sorteggi agli Slam, ha perso infatti da Murray al primo turno australiano, da Simon al Roland Garros, sempre al primo turno, e ora gli tocca il numero 1 al mondo già al secondo round. Consigliato l’uso di cornetti napoletani.
Gli Head to head vedono in vantaggio per 1-0 il serbo. L’unico incontro essendo avvenuto l’anno scorso a Cincinnati sul cemento preparatorio agli US Open e ha fatto registrare la netta superiorità di Nole per 6-2 6-3.
La speranza è quella di vedere i progressi di Harrison che qualche grattacapo ci auguriamo possa dare a Novak. Il gioco dell’americano, infatti, è costruito sui ben solidi servizio e diritto (marchio di fabbrica: Nick Bollettieri), ma ha anche un buon gioco a tutto campo, sa fare il serve and volley e ha un buon tocco; pecca ancora un po’ in difesa e i passanti non sono ancora sicurissimi. Certo, contro i traccianti e le bordate di Nole, dovrà dare il meglio di sé, ma sarà di certo un test probante per il numero uno, praticamente al rientro dopo due settimane di riposo dalle gare.

Articolo pubblicato su Vavel il 27 giugno 2012