È impossibile non vederli, per fortuna loro!
Chiunque
vada in centro città si trova, consciamente o meno, attorniato da ragazzi (e
qualche ragazza) più o meno giovani, che sfrecciano in bici vestiti con i
colori sgargianti e catarifrangenti di qualche società di food delivery,
ovvero di consegna a domicilio di cibo preparato da ristoranti cittadini.
Foodora,
Just Eat, Deliveroo, Glovo: ognuno con uno zaino personalizzato, ma per i non
addetti ai lavori sembrano quasi interscambiabili l’uno con l’altro. E forse
anche i riders (così
si chiamano) possono forse apparire, ai non attenti, solo una anonima forza
motrice?
Cosa
c’è dentro quelle casacche che sfamano tante famiglie e single fiorentini?
Questa
domanda mi ha spinto a saperne di più. E anche il fatto che sono ciclisti
cittadini, come lo scrivente.
Parte
così la caccia al rider. Di certo non è difficile vederli mentre si muovono da
un punto all’altro della città, oppure mentre aspettano di entrare in servizio
o di ricevere una consegna.
Alcuni
hanno preferito non farsi fotografare o più in generale, chiaccherare, altri non
hanno avuto molti problemi. Tutti sono però, comprensibilmente, un pochino
“sospettosi”. D’altra parte fanno un lavoro in cui si trovano continuamente in
mezzo alla gente, per gran parte del tempo sono soli, e non hanno ancora un’organizzazione alle spalle solida. Un po’ perché il settore è
relativamente giovane (Deliveroo è stata fondata in Inghilterra nel 2013), un
po’ perché il rapporto è grandemente basato sulla distanza/vicinanza digitale, con i
suoi pro e i suoi contro.
Inoltre
è successo in passato che le società abbiano allontanato qualche rider perché
fotografato in situazioni ritenute lesive della immagine societaria; forse anche per questo le società di food delivery assumono continuamente, oltra al fatto che è un mercato in relativa crescita e il
ricambio è continuo. Dopotutto c’è chi può scegliere di fare anche solo qualche
ora, oppure c’è chi decide di farlo a tempo pieno (in bicicletta o in scooter).
Però è vero che sei sempre sotto l’occhio di tutti, e viviamo nella società più
fotografata di sempre!
Quindi
non mi è rimasto altro da fare che montare in sella e seguire (affannosamente)
qualcuno di loro per vedere cosa succedeva.
Ormai tra loro si conoscono quasi tutti,
ma non tutti “fanno gruppo”. C’è chi sta sulle sue, chi invece, mentre aspetta
una consegna da fare, si mette a chiaccherare con gli altri: del lavoro – “hai
scaricato l’ultimo aggiornamento?”, “brutto tempo ieri, per fortuna non mi sono
bagnato troppo”, ecc. -, ma anche di tutt’altro, come succede in ogni ufficio.
Poi arrivano le prime notifiche (tutti a guardare il cellulare) e, chi accetta,
parte per la prima cavalcata del turno.
Il mio Virgilio (nome
di fantasia) mi spiega che, ovviamente in base alla distanza da fare, ci si può
permettere di andare relativamente piano al ritiro del cibo, poi però bisognerà
correre molto di più quando si tratterà di consegnare al cliente il prezioso
sacchetto fumante.
Scopro inoltre che
alle volte c'è anche molto da aspettare presso il ristorante (non tutti
ordinano fast food) e allora c’è l’occasione di scambiare due parole.
Qualche rider fa
questo lavoro da uno o due anni, la paga non è male, di certo sei sempre al
lavoro in strada, con tutti i pericoli connessi a chi va in bici. Nonostante un
minimo di assicurazione, se poi ti fai male, o ti ammali, questi contratti non
prevedono malattia o ferie. E se non pedali, non guadagni.
Qualche ragazzo ha il
caschetto e protezioni (guanti, cavigliere catarifrangenti), ma non tutti.
Qualcuno usa le cuffie, suppongo per ascoltare musica (immagino che dopo un po’
possa diventare noioso questo lavoro).
Spesso si fanno largo
in mezzo alla folla a suon di campanello, ma passare da ponte Vecchio è
proibitivo.
Un ragazzo straniero
mi dice che lui è contento di questa occupazione anche perché si gestisce gli
orari in base alle sue esigenze, guadagna abbastanza per le sue necessità e
tante critiche non le capisce: per lui è un’opportunità di lavoro non
trascurabile. All’inizio
aveva cercato di inserirsi nel mondo della ristorazione (come cuoco o
cameriere), ma nessuno gli ha dato una chance.
Altri dicono che non sono stati presi
a fare il cameriere perché in una città turistica come Firenze devi sapere
l’inglese a un livello molto alto.
In effetti, mentre attendevo il ritiro
di un sacchetto di cibo da consegnare, mi è capitato di ascoltare la cameriera di una nota catena, in centro, parlare in un inglese molto molto fluente.
Una conferma in più, se ce ne fosse
bisogno, che sapere una lingua straniera, e magari avere una laurea, al giorno
d’oggi è condizione necessaria ma non sufficiente per trovare lavoro, anche in
questo settore.
Un altro ragazzo italiano invece
ammette: sono gli stranieri che generalmente lavorano con Glovo (che ha da poco
acquistato la filiale italiana di Foodora) anche se pagano meno e le condizioni
sono peggiori. Inoltre qualcuno alle volte rifiuta delle consegne (un’opzione
che può comunque essere esercitata) se magari la distanza è troppa da fare in
bici, tanto c’è sempre qualcuno disposto a fare diversi chilometri per qualche soldo
in più.
Quasi tutti coloro con cui ho parlato
fanno questa attività a tempo pieno. Questo significa che in alcune giornate
(di 8-9 ore di lavoro: più consegni più guadagni) c’è chi si fa anche 40 km.
Alle volte, mi confidano, arrivi a casa e ti riposi un’ora e poi vai di filato
a letto. Il giorno dopo, porti la figliola a scuola, pedali, e sei di nuovo
cotto e pronto per dormire. Non parliamo di quando c’è brutto tempo.
Nei miei tentativi di inseguimento
devo ammettere che è stato stressante passare in mezzo ai turisti a furia di
scampanellate, o prendere qualche rischio, magari contromano, perché altrimenti
dovresti fare un giro infinito e poi non riesci a consegnare in tempo e il tuo profilo lavorativo ne potrebbe risentire tanto da avere ripercussioni negative per le prossime consegne…
Certo, ogni mestiere ha le sue
magagne, mi chiedo solo quanto a lungo uno possa fare questa vita. Alla fine di
sole tre o quattro ore di bici il mio fondoschiena reclamava almeno una
tregua ed ero quasi frastornato dal traffico...
Un altro, non più giovanissimo, mi ha
raccontato che era partito con una bici da città come la mia. Arrivava a casa
morto sfinito. Quindi ha prima preso una bici un po’ più ammortizzata, ora ha
una mountain bike che tiene sempre accanto a sé, assicura sempre con una catena
e ha un dispositivo gps in caso di furto.
Questo gli ha facilitato la vita, ma di certo c’è ancora molta strada da fare
per assicurare a questi lavoratori non solo tutta una serie di assicurazioni e
legislazioni da parte delle società o dello Stato stesso, ma anche un riconoscimento
sociale adeguato ai tempi.
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