sabato 6 ottobre 2012


Roberto Baggio

Una porta nel cielo. Un'autobiografia. 



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Prefazione di Daisaku Ikeda; interviste a cura di Enrico Mattesini, testi a cura di Enrico Mattesini e Andrea Scanzi; coordinamento e contributi di Ivan Zazzaroni; appendice statistica a cura di Elio Barraco. 6a ed. con statistiche aggiornate. Storie e miti; 48. ISBN: 88-88551-92-1. Arezzo, Limina, 2005, pp. 280; 14,98 euro.

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Roberto Baggio. 
Basta il nome per evocare ricordi e magie, incazzature e gioie, nostalgia e meraviglia.
Solo lui rimane fermo a sé stesso. Impassibile. Come insegna la scuola buddhista di cui da anni è parte. 
Anche chi non ha vissuto, o non ha vissuto appieno quegli anni calcistici, dice di sapere chi è Roberto Baggio. Non è così. Anche il più devoto al dio pallone non sa diverse cose su Baggio. Non le sa perché non sono mai state raccontate dalla stampa, perché Baggio è uno che tace e aspetta. 
In questo libro alcune cose le racconta, non tutte, altrimenti non sarebbe Baggio, ma alcune sì, e le racconta dal suo sguardo. O meglio, non è che racconti la sua versione dei fatti, ma i fatti attraverso la sua visione che è soprattutto emotiva, selettiva, passionale.
Passione è una parola chiave di questo libro: la passione è l'unico motivo che può spingere un ragazzino che non ha mai giocato in serie A ad andare al di là di un infortunio al ginocchio che per 16 anni ti costringe a giocare zoppo, ad allenarti di più, meglio e sempre. I soldi verranno poi, e se a uno richiedono di fare il professionista, ti costringono a cambiare città contro la tua volontà, beh, allora è giusto che si cerchi di trarne il massimo profitto.
È un libro che cerca di andare al di là del calcio come fattore puramente sportivo. È scritto bene, da diverse mani sapienti, e costruito come una lunga intervista sulle tematiche che hanno sempre incuriosito il grande pubblico; sullo sfondo troviamo la sua parabola da numero 10 per definizione, in ordine più o meno cronologico.
La Nazionale, i presidenti, gli allenatori, i tifosi: quando uno smette deve necessariamente selezionare le gioie da portarsi nel cuore, i momenti dolorosi si selezionano da soli. Su tutti, quel rigore a Pasadena: se ti chiami Massaro o Baresi puoi sbagliarlo, quel rigore. Se ti chiami Baggio, quel rigore viene a visitarti per molte notti, anche se probabilmente sarebbe stato ininfluente. 
Anche i tifosi fanno male, quando ti fanno pagare colpe non tue. I presidenti poi ti portano alla realtà del calcio peggiore.
E infine ci sono loro: gli allenatori. Per un numero 10 alla Baggio è un terno al lotto. Se ti ritrovi ad essere imbrigliato negli schemi, tu che sei fatto per romperli, passerai diverso tempo a pensare in panchina (pensare fa male, a un fantasista). Peggio ancora succederà quando l'allenatore vuole essere il protagonista. E tu sei amato da tutti, tifosi, giornalisti, perché incarni il sogno per definizione del calcio: il dribbling e il tocco sopraffino, la voglia di stupirsi e stupire, e questo non ti viene perdonato da un allenatore primadonna. E quei tre allora fanno finta di non capirti: Sacchi, Ulivieri e soprattutto Lippi. Per fortuna ci sono uomini che ti riconciliano con il mondo, come Mazzone
A proposito di uomini: è di questo che in realtà parla il libro. Gli amici veri: ristoratori che diventano compagni di caccia e vittime di scherzi pesanti. Della ricerca di una spiritualità profonda, impegnativa, che tiri fuori il meglio di te come uomo e nel contempo ti riempia di energie da espandere a chi ti circonda. E poi di lunghe ore leggere passate a pregare, o appostati a caccia; che poi è la stessa cosa. Di una terra nuova da amare, l'Argentina degli argentini veri, non di quella per turisti.
E la famiglia come un rifugio, ma anche un gioiello prezioso da custodire nel silenzio, da nascondere al vortice impazzito che il calcio spesso è. Allora anche il ricordo di un rigore calciato in curva può fare meno male.

Pubblicato su Italia Germania 4-3 il 6 ottobre 2012

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