Buon compleanno a Jimmy Connors: il più sanguigno dei grandi. Longevo e antipatico, passionale e inesorabile, ora Jimmy lavora all’uscita della sua autobiografia prevista per l’anno prossimo. Noi lo festeggiamo ricordando la sua storia d’amore con New York.
..con bombetta da gran signore e la letal Wilson .. |
Il 2 settembre del 1952 nasceva a East St. Louis, Illinois,
James Scott “Jimmy” Connors.
60 anni fa nasceva quello che è conosciuto come il più
grande “fighter” dei campi da tennis. E uno tra i più “nasty” della generazione
che sfrontata, irriverente, a tratti volgare lo è stata più di tutte.
Di Connors sappiamo molto, ovviamente non tutto. Sapremo qualcosa
di più quando uscirà, probabilmente a giugno 2013, la sua autobiografia già in
prenotazione in molti negozi online. Dopo il successo dell'autobiografia di
Agassi (per non parlare di quella di Nadal), non sarà semplice uscire sul
mercato con un prodotto competitivo, ma gli sforzi in tal senso sono stati
fatti, attendiamo più o meno pazienti: anche per vedere se e come risponderà a
qualche stoccatina affondata da Andre. Ora dunque Jimmy lavora su questo: far
uscire la sua autobiografia, cioè un racconto di sé.
È sempre difficile raccontare di sé, figurarsi quando si è da
quarant’anni sotto i riflettori, quando si è vissuto molto vedendone di tutti i
colori, si è passati da personaggi scomodi e fischiati a idoli, si ha un
carattere "nasty": insomma, quando si è Jimbo Connors.
Dei suoi risultati sportivi, i nostri lettori sanno tutto e
meglio di noi, forse meglio di Connors stesso: 8 Slam vinti in 15 finali, 2 vittorie
in doppio con Nastase, un Masters e
record su record ottenuti, alcuni ancora in essere, altri recentemente
battuti. Connors è un nome sempre vivo, non solo nelle memorie di chi ha
vissuto quella stagione straordinaria di tennis, più o meno un ventennio che
Connors ha attraversato da autentico mattatore, ma è vivo come lo sono i più
grandi di questo sport.
In pochi hanno dato quello che ha dato lui al tennis. Non
solo come professionista, cioè come giocatore, allenatore o commentatore, ma ha
regalato ai tifosi e al tennis spettacolo, rivalità accese, polemiche, insomma:
entertainment puro. Il tennis di Jimbo, infatti, non è stato di certo il
migliore della sua generazione, secondo gli esperti si portava dietro alcune
lacune e non tutti i suoi colpi erano da fuoriclasse: ma la combinazione della
sua personalità, della sua dedizione e della sua determinazione ne hanno fatto
uno dei più grandi. Paradossalmente, ha fatto crescere il tennis anche come
movimento mettendolo davanti ai problemi che l'era open, i crescenti cachet e i
tornei sempre più ricchi ponevano. Ovviamente non da diplomatico o da politico,
ma… da Jimmy Connors.
Per una magistrale analisi del mito Connors rimandiamo anche
a un testo di Emanuela Audisio apparso su Ubitennis tre anni fa: http://www.ubitennis.com/sport/tennis/2009/12/28/274974-grande_mito.shtml
Connors e New York
Per celebrare il suo compleanno vorremmo fare qualche
riflessione su un rapporto particolare: Jimmy Connors e la città di New York.
Non sappiamo se a Connors piaccia che il suo compleanno cada
il 2 settembre, cioè in contemporanea con gli US Open. Ora immaginiamo
sicuramente di sì, ma non è stato sempre così. Una volta disse: “Amo New York
quando vinco, odio New York quando perdo”.
La storia tra Connors e la Grande Mela è catulliano: odio
e amore. E rispecchia la parabola del connubio, del link, che si creava tra il
pubblico e questo genio sregolato nei modi, negli atteggiamenti, dotato di un
buon tennis, ma non di un tennis eccezionale, spinto però da una grinta
sportiva ed extrasportiva fuori dal comune. Comunque, prima odio e poi amore.
A chi non piacciono i combattenti, i fighters? Forse solo
agli inglesi che frequentano i sacri recinti del tempio di Church Road (mai
nome fu più appropriato). Agli americani invece piacciono i fighters, anche, e
forse soprattutto se sfrontati. Se poi si travalica un pochetto fuori dalla
sportività pazienza, è il prezzo da pagare per dello show extra. Gli US Open,
lo vediamo in questi giorni, non è Wimbledon!
Però Connors non è mai stato in tutto e per tutto quello che
noi pensiamo il frutto tipico degli stereotipi sugli americani (lo è di più
Roddick). Innanzitutto perché è stato poco patriota in Davis. L’ha giocata poco
e amata forse meno. Secondo McEnroe perché non si guadagnava abbastanza.
Connors non ha lo spirito americano di un McEnroe o di un Roddick, appunto. E
non ne ha neanche l’ironia. Quando McEnroe si arrabbiava, era quasi divertente.
Ispirava più un sentimento quasi di tenerezza: come se fosse un giovanotto
viziato che fa i capricci. Quando Connors si arrabbiava faceva paura.
Jimbo ha saputo conquistarsi il pubblico newyorkese con due
qualità, la longevità sportiva e lo spirito agonistico, e con una circostanza
sfavorevole: ha iniziato a perdere, ma a perdere combattendo.
Lui che più che il piacere delle vittorie voleva evitare il
dolore delle sconfitte, ha saputo negli anni trasformare i rovesci sportivi in standing
ovations. Soprattutto a New York, dove non hanno pesato i 5 US Open vinti in
singolare (1974, 1976, 1978, 1982, 1983), a cui si aggiunga il titolo in doppio
con Nastase del 1975 (solo loro due potevano sopportarsi a vicenda), né ha
pesato la frequenza assidua per un ventennio allo Slam a stelle e strisce, dal
1970 al 1992 con l’eccezione del 1990 in cui subì un’operazione al polso
sinistro. Non ha pesato neppure la rivalità con McEnroe: una rivalità antipatica,
anche a vedersi; tanto più che è McEnroe il vero pupillo dei newyorkesi, vista
la sua provenienza. Non ha fatto la differenza la vittoria nella finale dei
Masters del 1977 su Borg, l’unica della sua carriera e che si compì al Madison
Square Garden.
No. Ha fatto la differenza il suo essere combattente all’età
in cui i tennisti si dedicano ad altro. Di essere un vero e proprio mattatore
in campo, di usare, come dice McEnroe, l’energia del pubblico come benzina per
il suo gioco. Ha contato davvero vedere quest’uomo irriducibile sputare sangue
e sudore a rincorrere palline e inventare passanti dopo quattro smash respinti.
Di queste partite epiche abbiamo scritto su Ubitennis nei
giorni scorsi: irrinunciabile farci riferimenti ad ogni edizione degli US Open
e perciò rimandiamo agli ottimi articoli di Luca Pasta http://www.ubitennis.com/sport/tennis/2012/08/26/763130-campioni_flushing_meadows.shtml
e Alessandro Mastroluca (in 2 parti):
Da queste analisi dei match esce la migliore delle doti di
Connors: la perseveranza.
La perseveranza si fa apprezzare molto al di là dell’Oceano:
risalire e ripartire dopo aver subito rovesci dalla sorte o dal tempo che passa
è un sogno americano. Tanto che Joel Drucker ci ha scritto sopra un bellissimo
libro biografico e autobiografico, in cui Connors è ispirazione nei frangenti
più difficili della vita dell’autore.
Riportiamo anche il commento di Drucker alla penultima
apparizione di Connors agli US Open, nel magico torneo del 1991: “Spesso
Connors è stato al di sopra della legge. In quell’anno, a New York, Connors ERA la legge”. Già perché pur amato dal pubblico,
non è che il lupo avesse perso il vizio di dirigere anche l’arbitro in campo,
oltre alla folla, all’avversario, alle palline, ai raccattapalle. E mai a
parole gentili.
Come ultimo omaggio a Jimbo vorremmo anche ricordare un suo
tipico gesto: agitare avambraccio e pugno dopo un punto conquistato. Non so se
sia stato il primo a proporre questo gesto poco elegante. Di sicuro è stato un
modello. Inimitabile. Non era un continuo fare pugnetti in faccia agli
avversari anche su doppi falli o su punti insignificanti, non serviva, solo, a
far innervosire gli avversari. Era invece un gesto che proveniva dalla pancia,
un gesto di passione, furore, voglia e cattiveria agonistica: insomma, era
Connors stesso.
Pubblicato su Ubitennis e Vavel il 2 settembre 2012
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