martedì 6 novembre 2012

Football Clan: La rete della camorra

Seconda parte in cui ripercorriamo sulle orme del libro Football clan di Raffaele Cantone e Gianluca Di Feo come il pallone sia finito nella rete della camorra. Come sono stati coinvolti Maradona, Balotelli, Cannavaro, Chinaglia e Lavezzi in un gioco più grande di loro? Come fa la camorra a insinuarsi e a prendere controllo di intere società di calcio?




Continua il nostro viaggio alla scoperta del libro Football clan del magistrato Raffaele Cantone e del giornalista Gianluca Di Feo. Nella prima parte che trovate qui, abbiamo introdotto la pubblicazione, ora iniziamo ad entrare nel cuore del libro e nella sezione dedicata alla rete della camorra. Per motivi di spazio ci limiteremo a raccontare a grandi linee solo il rapporto camorra e calcio, ma il libro descrive più dettagliatamente i nodi che coinvolgono anche altri ambiti. Dalla canzone alla politica, dalle imprese di costruzione allo spaccio di droga.
Quando è iniziato tutto? Quando il calcio è diventato qualcosa di più di uno sport per malfattori di diversa fatta? Gli autori individuano un preciso momento storico nel mondiale argentino del 1978. Forse per la prima volta la televisione, ormai a colori, diventa il veicolo privilegiato del calcio. Ma non solo, anche veicolo di propaganda a livello planetario. È l’Argentina della giunta militare che forzò l’evento sportivo per ridurlo a uno spot di potere politico e dittatoriale. Nel frattempo, in Campania, Raffaele Cutolo (il don Raffaè di De André) guida la camorra nella modernità della criminalità organizzata. Come Totò Riina a Corleone, i Cutolo mettono fine alla camorra di carattere e ne fanno un’organizzazione mondiale implicata come una piovra in mille meandri di attività con un solo scopo: il potere. Non contano quasi più i soldi, conta il controllo: del territorio e della gente. E qual è uno dei passatempi più vicini alla gente se non il calcio? Tempi addietro farsi vedere alle processioni del paese, essere omaggiati dalla statua paesana era la patente di celebrità massima; ora che i tempi son cambiati e che il pallone è la religione più diffusa, i boss se ne fanno vanto e lo usano come strumento per entrare in tutti gli strati sociali.
Ecco allora come si spiega la visita del presidente dell’Avellino, Antonio Sibilia, in compagnia di Juary, campione brasiliano finito in Irpinia in quella stagione tanto magica quanto dubbia, a Raffaele Cutolo, allora rinchiuso in un’aula di tribunale a Napoli e in attesa di processo. È il primo, plateale, sfacciato riconoscimento a un boss in cui viene sfoggiato un calciatore famoso. C’è chi si indigna: Luigi Necco, telecronista RAI, denuncia questa collusione alla Domenica Sportiva. La domenica successiva tre sicari lo gambizzano, una punizione tipica del clan dei cutoliani: è un avvertimento per lui, e per tutti. Era il 1980.
Lo stesso anno del primo scandalo del Totonero, le scommesse illecite e le partite truccate. Grande fu lo shock mediatico in tutta Italia, coinvolte tra le altre Milan e Lazio, e giocatori già idoli come Paolo Rossi Bruno Giordano. Un terremoto che avrebbe potuto dare al sistema calcio italiano gli anticorpi che in futuro (si legga: oggi) sarebbero stati determinanti. E invece, complice il Mundial 1982 e l’amnistia che coinvolse un po’ tutti, complice la giustizia ordinaria impreparata e quella sportiva inadeguata, quegli anticorpi non si svilupperanno mai, e ora ne paghiamo le conseguenze.
Da quella stagione, ancora in parte oscura, arriviamo a Maradona. Restiamo però in Campania, a Napoli, dove ai Cutolo si sostituiscono dopo sanguinose lotte, faide e controfaide, i Giuliano. Maradona è stato ed è molte cose. Per Napoli era (è) un dio. Ci fu la lotta tra i clan per chi potesse avere la possibilità di fregiarsi della sua amicizia: uno spot che tra i bassifondi di Spaccanapoli equivaleva a una bandiera perennemente sventolante. Naturale dunque che la polizia ritrovi un intero album (per alcuni sono fotomontaggi) che ritraggono El pibe de oro assieme ai Giuliano nella vasca da bagno a forma di conchiglia.
Ma è il 1986, il Napoli è alla caccia dello scudetto: impossibile divulgarle per motivi di ordine pubblico. Sarà un’altra occasione persa per la produzione di anticorpi al virus delle infiltrazioni camorristiche.
E proprio le foto sembrano anche ai nostri giorni un vero e proprio status symbol per i camorristi, ma non solo. Si pensi al giovane tatuatore napoletano che sulla sua pagina facebook mise una foto dell'ignaro Pocho Lavezzi: uno spot gratuito che più efficace non si può. Peccato che i colleghi non la prendano benissimo: quel tatuatore finirà ammazzato per mano della camorra. Anche così ci si contende l’immagine dei calciatori, non solo attraverso le campagne pubblicitarie delle multinazionali. Altri esempi? Le foto di Hamsik, ma anche la presenza di Balotelli a Scampia. Che ci fa uno come SuperMario nel bel mezzo del territorio camorristico che ogni giorno è teatro di aspre lotte tra cosche rivali e i tentativi delle forze dell’ordine di portare un po’ di legalità? Gli interrogatori del talento italiano più cristallino sono ancora secretati, l’entourage del giocatore fa sapere che Mario, letto il libro Gomorra, volle andare a vedere di persona il quartiere simbolo della camorra di oggi. Altre versioni sostengono che l’onore della visita del campione fu divisa tra gli Scissionisti Antonio Lo Russo, un membro di una delle famiglie più potenti e super tifoso di calcio, tanto da seguire le partite del Napoli da bordo campo, come vediamo nella foto qua a latoSpesso i calciatori sono vittime più o meno inconsapevoli, lo stesso Balotelli ammette di essere stato “ingenuo”. Ma come fanno questi malavitosi ad arrivare a uno come SuperMario?
Già, la questione è proprio questa: come ci si infiltra tra le maglie di una società che ha mille occhi e che è attenta alle persone con cui ti incontri? C’è bisogno di intermediari. Persone che stanno di qua e di là della frontiera. Imprenditori iperattivi, senza grossi scrupoli, faccendieri introdotti nelle camere segrete dove si decidono il destino di grossi capitali frutto di azioni malavitose. Ad esempio come lo sono i milioni, miliardi di euro che devono essere riciclati. E qual è una delle attività principali con cui si possono riciclare ingenti somme di denaro sporco? Storicamente lo sono ristoranti e pizzerie. È notizia recente che in Germania, a detta dello stato tedesco, sono aumentate le aperture di pizzerie e ristoranti, grazie a soldi riciclati, in maniera esponenziale. Ovviamente anche da noi questo è un sistema molto usato e anche qui ci entra il pallone: come? Si prende, ad esempio, un giocatore famoso, lo si fa entrare come socio con quote di favore e lo si usa come prestigioso testimonial. È quello che è successo a Fabio Cannavaro, che si è visto convocato dagli inquirenti per avere spiegazioni sul suo rapporto con Marco Iorio, imprenditore e ristoratore di successo grazie anche al nome di Cannavaro. È un’inchiesta ancora in corso, e non tutti i legami sono stati chiariti. Certo è che tutti si professano innocenti, al massimo si autoaccusano di “ingenuità”.
Però non c’è solo il calcio della serie A. Ci sono i campi di periferia: lontani dalle città, i paesi si uniscono non più nella piazza o attorno al campanile, ma nel campo sportivo. Dalle Alpi alla Sicilia, c’è un intero movimento animato dalla passione sportiva, dalle antiche rivalità campanilistiche, che ogni domenica si riversa nel calcio dei dilettanti o dei semi-pro. Che ghiotta occasione per la camorra! Portare in alto la squadra del paese, acquisire celebrità, prestigio agli occhi del territorio, addirittura usare la squadra per competere nella supremazia all’interno della cosca. È quello che è successo a Mondragone nei primissimi anni ‘90. Il presidente Pagliuca arriva ai vertici della squadra e la usa come spot domenicale, quasi a voler insidiare il potere del boss Augusto La Torre che nel frattempo si trova in prigione. Pagliuca verrà ammazzato mentre al bar del paese sedeva con moglie e figli. Il Mondragone decadrà con lui. Come successe all’Albanova, allora in C2, arrivata a un passo dalla C1. Poi in due anni, decade il boss, decadono le squadre. Ecco l’effetto delle mafie sul calcio paesano, quello che si vorrebbe, almeno lui, più puro del calcio professionistico di ultima generazione.
E poi c’è un altro movimento: quello che dal basso, dai boss della periferia, cerca di raggiungere le vette. È uno dei casi più eclatanti degli ultimi anni. Giorgio Chinaglia, recentemente scomparso, usato (non si saprà mai quanto involontariamente) per arrivare a mettere le mani sulla presidenza della Lazio. Pressioni da ogni lato sull’attuale presidente Lotito. Non solo a livello dirigenziale, con una vera e propria macchina da guerra messa in piedi da Giuseppe Diana con avvocati, commercialisti, faccendieri vari a sostenere nell’ombra lui, Long John, un vessillo per i tifosi laziali, ma anche gli stessi supporter che fecero la loro parte nell’esercitare influenze varie su Lotito. Come tutti sappiamo l’inchiesta anticamorra dei pm di Napoli ha spezzato il sogno di Re Giorgio, morto quest’anno da latitante negli StatesDiana, il camorrista che tentava la scalata, ha preferito sparire, di certo portandosi con sé diversi milioni di euro.
Ma che cosa cerca la camorra in una delle squadre più in vista di serie A? Quello che cercava nelle tribune di periferia: contatti. Accomunati da una fede calcistica, nelle tribune non si fa solo il tifo, si stringono alleanze, si definiscono simpatie e antipatie, insomma, si tirano le fila che muovono pupi e marionette, in un ballo macabro che alla fine costa molto ai veri tifosi. I veri tifosi che vanno allo stadio ormai con il dubbio di vedere una partita onesta, ma anche con la paura di essere circondati dagli ultras. Gli hooligans nostrani non hanno nulla da invidiare a quelli di altre nazioni, anzi, secondo la polizia, la camorra, la criminalità organizzata in generale, è ben presente in diversi settori delle curve. È un rapporto ambivalente: le curve forniscono gente disposta se non a tutto, a molto; alcuni gruppi delle curve ricevono protezione, soldi e contatti privilegiati con giocatori e dirigenti. Ma di questo continueremo a parlare la prossima settimana addentrandoci nel campionato delle mafie...


Gli estremi del libro:
Raffaele Cantone e Gianluca Di Feo, Football clan. Milano: Rizzoli, 2012.
Collana Saggi, 288 p., 17 euro. ISBN : 17059008
 
Pubblicato su Vavel e Italiagermania4-3.com il 06 novembre 2012

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