venerdì 16 novembre 2012

Mi ritorni in mente: Pepe Schiaffino

..lo stile peperino di Schiaffino..
  
Il 13 novembre di dieci anni fa moriva Juan Alberto Schiaffino. Detto Pepe: le madri riconoscono subito le qualità, piacevoli o spiacevoli che siano, dei loro figli. Nato a Montevideo nel 1925 ha rappresentato un mito nei due mondi cari anche a Garibaldi. Con la nazionale uruguagia ha creato un mito, in Italia ha reso grande il Milan. È considerato uno dei più grandi di sempre e ha fatto da chioccia a un certo Gianni Rivera. Andiamo però con ordine nel tentativo di dare un'idea non solo del calciatore e dell'uomo Schiaffino, ma anche di un ambiente e di un calcio entrato ormai nell'era del mito.
Il piccolo Pepe (raggiungerà il metro e 75 per al massimo 70 chili) nasce a Montevideo, nipote di un immigrato ligure, pare di Camogli; calcia i primi palloni fino a seguire le orme del fratello e approdare nel Penarol. I primi anni è costretto a fare un altro lavoro per sbarcare il lunario come l'operaio o il fornaio. Si impone finalmente in prima squadra, come centrocampista, ragioniere del campo rettangolare, ma anche, come dirà Gianni Brera in anni successivi, illuminava il gioco con la semplicità dei grandi. Era innato in lui il senso della posizione, ma soprattutto aveva carisma. Era nato leader, ma sui generis. Spesso taciturno, introverso, non di rado in disaccordo con allenatori e compagni, tendeva a fare di testa sua, ma con un cipiglio da giocatore maturo già in giovane età.
Non potevano non aprirsi per lui le porte della nazionale, La Celeste; e proprio in occasione di un mondiale che diverrà epopea. Nel 1950, infatti, i Mondiali si svolgevano in Brasile. Inutile dire che tutto pendeva dalla parte dei padroni di casa, figurarsi che già prima della partita decisiva tra le due compagini (ai carioca sarebbe bastato un pareggio) si sprecavano i proclami da trionfatori e i discorsi celebrativi. Il Maracanà ribolliva, a maggior ragione dopo l'1-0 dei brasiliani. Colpiti nell'orgoglio, gli uruguagi, guidati dal leggendario capitano Obdulio Varela (con cui però Schiaffino non andava d'accordo), reagiscono pareggiando con una rete del nostro Pepe. Lo stadio ammutolisce, il gelo si tramuta in tragedia quando Schiaffino confeziona un assist che porta l'Uruguay a vincere la Coppa Rimet, nella tana del leone. Si conteranno diversi suicidi e infarti tra i tifosi brasiliani, inutile sottolineare come quella partita diventò da subito mito.
Dovranno però passare altri quattro anni prima che Pepe Schiaffino trovi un accordo con una squadra italiana. È il Milan del presidente Rizzoli a comprarlo, bruciando la concorrenza del Genoa. Pepe arriva in Italia a 29 anni suonati, ma è tutt'altro che sul viale del tramonto. Parsimonioso fuori dal campo (è inoltre il primo a gestire la propria carriera con piglio imprenditoriale) è generoso nelle sue giocate, geniale inventore del tackle in scivolata da dietro. Con il Diavolo vince tre scudetti in sei anni e segna 60 reti, portando i milanisti a giocare anche una finale di Coppa Campioni. Non bastano queste aride cifre per dare l'idea di chi in patria era considerato semplicemente il Dios del Futbol e in Italia Il Calcio per antonomasia e che con il celeberrimo Gre-No-Li, ma anche con Buffon e Cesare Maldini, e poi con Altafini fece parte di un Milan da sogno. Da oriundo (per Bianciardi il migliore di tutti, più di Sivori per intenderci) sarà anche convocato in Nazionale Italiana, senza fortuna, molto probabilmente per incompatibilità con gli allenatori dell'epoca e per la sfortuna di non essere risucito a portare, unica volta nella storia patria, gli Azzurri al Mondiale di Svezia (1958).
È paradigmatico, infine, di una concezione calcistica l'ultimo spezzone della sua carriera, viene ceduto alla Roma e retrocede in campo posizionandosi davanti al portiere a dirigere i compagni e ad allevare futuri campioni, come De Sisti: così facevano a quei tempi.
Ritornerà infine in Uruguay tentando senza convinzione né buona sorte la carriera di allenatore (eppure sembrava esserlo in campo) e quindi optò per la carriera di imprenditore, in cui, da buon genovese, era senz'altro portato.
Di lui disse Eduardo Galeano: "Schiaffino, con le sue giocate magistrali, organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando tutto il campo dalla più alta torre dello stadio". Ora scruta dall'alto dell'Olimpo calcistico assieme ai più grandi di sempre.


 
Qua sotto lo vediamo all'opera nei mondiali svizzeri del 1954, in un memorabile Uruguay-Inghilterra 4-2
 
 
 
Pubblicato su Italiagermania4-3.com e Datasport.it il 16 novembre 2012
http://www.italiagermania4-3.com/index.php/storie/mi-ritorni-in-mente
e

 
 

Nessun commento:

Posta un commento