TENNIS - Presentiamo la figura di una donna di colore, coraggiosa, che con la sua tenacia ruppe per prima le barriere razziali nel tennis. Ancora pochi sono i giocatori di colore nel nostro sport, questione di tradizione o di opportunità? Ancora oggi le sorelle Williams si sentono attaccate su questo aspetto? Riusciremo a superare l'odiosa barriera del razzismo?
Althea Gibson
Visto che qualcuno si è interessato alla musica che
ascolto mentre mi ispiro per i raccontini tennistici, stavolta è
toccato a Nina Simone creare non solo l’atmosfera, ma anche dare una
vera e propria ispirazione quale Musa coloured, non sapendo, comunque,
di che colore fossero le prime Sette. Indian Wells è da poco terminato.
Uno dei pochi tornei combined. L’unico che da un po’ non annoverava e
probabilmente non vedrà più le sorelline Williams. Quest’anno impegnate a
recuperare da gravi guai fisici, ma che comunque avrebbero saltato l’appuntamento perché, a loro dire, vittime di atteggiamenti razzisti da parte di pubblico e non solo (per un riepilogo dei fatti si veda il bell’articolo di Alessandro Mastroluca.
Il tennis, anche lui, ahinoi, nella sua gloriosa storia si porta
delle macchie, ad esempio l’esser stato razzista per diversi e lunghi
anni. Fu una donna coraggiosa e talentuosissima a rompere per
prima le barriere razziste tennistiche dai tornei più infimi a quelli
via via più importanti: Althea Gibson. Come spesso nella storia
dei riscatti delle minoranze (etniche, politiche, sociali),una triste
infanzia, una coraggiosa adolescenza ribelle, fortuna e infinito talento
dovettero mischiarsi per far emergere una personalità apripista.
Pensiamo a quali e quanti bocconi amari dovette ingoiare la giovane
Althea per farsi ammettere e poi accettare nei bianchi club
dell’upperclass americana e della “buona” società europea a metà degli
anni Cinquanta!
Nata nel 1927 in South Carolina, crebbe ad Harlem, New York, durante
la Grande Depressione. Nella sua povera famiglia non fu certo circondata
da affetto. Il padre era un tipaccio, violento e poco raccomandabile. Althea
scappava da casa e da scuola, fece diversi lavori infimi, riservati ai
neri e cercò rifugio presso una società di assistenti sociali dell’epoca
(la Society for Prevention of Cruelty to Children) fino a quando un
musicista, direttore d’orchestra, Buddy Walker, notò la sua propensione
agli sport, mentre giocava a paddle tennis o paddleball. Si
prese cura di lei dandole i mezzi per un’educazione e per le lezioni di
tennis. Furono comunque anni duri, nei tornei riservati solo agli
Afroamericani, inseguendo la chimera dell’indipendenza,
dell’affermazione economica e sociale; insomma, di una vita migliore.
Era molto brava a giocare a tennis. Così brava da far gridare
allo scandalo una giornalista, ex giocatrice e vincitrice di Wimbledon e
US Open, Alice Marble, che sulle colonne dell’American Lawn Tennis
denunciò quello scandalo. Passò comunque ancora del tempo prima
che potesse partecipare ai circuiti maggiori. Finalmente, nel 1950,
vinse la sua prima partita ai Campionati degli Stati Uniti contro una
ragazza bianca. Passerà ancora qualche anno e nel 1956 vinse gli
Internazionali d’Italia, il suo primo grande torneo. Si ripetè nello
stesso anno al Roland Garros. Nel 1957 e nel 1958 fece la fantastica doppietta: Wimbledon e US Open.
Malcom X e Martin Luther King iniziavano allora le lotte per
l’emancipazione dei neri negli Stati Uniti, furono assassinati dieci
anni dopo. In tutto, compresi doppio e doppio misto, vinse 11 titoli
dello Slam (agli AO arrivò in finale).
Chi la vide racconta di lei uno stile aggressivo e sempre
all’attacco. Insomma, io me la immagino un’antesignana di Venus Williams
(di cui però non possedeva la bellezza). Cantava anche, Althea. Incise un disco, poi qualche ruolo d’attrice al cinema, e l’immancabile autobiografia.
Terminata la carriera tennistica, nel 1964 si dedicò al golf, con
alcuni successi e anche lì entrando in una società tipicamente per
bianchi. Dopo il 1975 lavorò per lo Stato occupandosi di educazione
fisica. Si sposò due volte. Gli ultimi anni, però, furono segnati ancora
dalla povertà e dalla solitudine, anche se una sottoscrizione pubblica
in suo favore, raccolse oltre un milione di dollari negli anni Novanta.
Il nome di Althea, morta nel 2003, vive ancora attraverso una fondazione che ne porta il nome e si rivolge ai bambini disagiati delle grandi città che vogliono crescere attraverso il tennis o il golf.
Rimane, secondo me, ancora spinosa la questione del razzismo nello
sport. Parlando a livello globale, si pensi al calcio, soprattutto in
Italia, ma non solo. Basti pensare a cosa è accaduto nel weekend durante
l'amichevole Scozia-Brasile, con i calciatori carioca che hanno
denunciato le offese del pubblico. Nel tennis i ragazzi di colore non
sono moltissimi, tra i più conosciuti ora ci sono James Blake, Donald
Young, Tsonga, Monfils, e chi altro? Ashe e Noah nei decenni passati. Sono
tutti francesi o americani. Questione di tradizione o di opportunità?
Sarebbe sicuramente interessante fare un piccolo studio su questo.
Pubblicato su Ubitennis il 29 marzo 2011http://www.ubitennis.com/sport/tennis/2011/03/28/481088-althea_gibson_barriere_razziali.shtml
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