TENNIS - Recensione del libro "Giorgio de’ Stefani: il gentleman con la racchetta" della giornalista Francesca Paoletti. Grande tennista, è stato anche membro del CIO, presidente della FIT e dell'ITF.
Giorgio De' Stefani: il gentleman con la racchetta: ah, la retorica di un tempo! |
De’ Stefani, il tennista senza rovescio. Giorgio de’ Stefani, il gentiluomo. Così i giornali ci ricordano questa figura.
Senza rovescio in quanto aveva la particolarità di cambiare mano
nell’impugnare la racchetta durante gli scambi e quindi di giocare di
diritto sia a destra che a sinistra. Gentiluomo in quanto sia nella sua
carriera da giocatore che in quella di dirigente sportivo si distinse
per la signorilità e l’eleganza. Recensiamo il seguente libro che ce lo
ricorda:
Francesca Paoletti - Giorgio de’ Stefani: il gentleman con la racchetta, presentazione di Mario Pescante.
Roma : Riccardo Viola editore, 2005 - Racconti di sport di Roma e del Lazio, 3 - 115 p. -Eur 5,00
ISBN : 8890170719
Osservato a prima vista, il libro mi ha fatto temere di non
aver azzeccato un buon affare; per fortuna i libri hanno la capacità di
smentirci. Più avanti spiegherò il perché, ora vorrei riassumere brevemente la vita del protagonista:
IL PROTAGONISTA
Giorgio de’ Stefani nacque a Verona nel 1904. Figlio di un ministro
del governo salutò da bambino il Nord per trasferirsi a Roma, di cui
sempre si considerò un figlio tra i più fortunati. I primi approcci con
lo sport si devono alla mamma, donna di notevole intraprendenza e che lo
seguì spesso nei viaggi che lo videro ambasciatore del tennis in tutti i
continenti. Arrivato a Roma iniziò a giocare al Club Parioli, a cui fu
sempre molto legato. Fu uno dei principali tennisti italiani e
internazionali; raggiunse la finale del Roland Garros perdendola
dal Moschettiere Cochet in quattro onorevoli set nel 1932 e raggiunse
la top ten nei suoi anni migliori. Vanta 44 vittorie in Davis
su 66 presenze e fu anche capitano nel 1948. Il suo tennis era
imprevedibile, vista la particolarità del suo gioco (tendenzialmente
mancino, cambiava mano per giocare sempre di diritto); fortissimo nei
passanti e indecifrabile negli smash, con queste armi riuscì a battere
autentiche leggende come Fred Perry. Hopman, e a dare del filo da
torcere a Von Cramm, a Lacoste, a Cochet... Punti deboli erano la sua
battuta (una seconda non molto solida, in particolare) e il gioco di
rete, visto che il passaggio della racchetta tra le due mani era
piuttosto laborioso.
Iniziò seguendo le orme di De Martino per poi essere secondo di De’
Morpurgo, che di certo non aveva un carattere facile visto che, quando
De’ Stefani riuscì a batterlo per la prima volta si vide recapitare uno
schiaffo al momento della stretta di mano per mancanza di rispetto... Insieme
però formarono una squadra di Davis molto temibile, tanto da
costringere lo squadrone dei Moschettieri al 3-2. Dopo la seconda guerra
mondiale, venne nominato membro del CIO dal 1951 (vi fece parte fino
alla morte, avvenuta nel 1992) e presidente della Federazione
internazionale di tennis dalla seconda metà anni ‘50 al 1969 (non in
anni successivi), ancor prima di essere presidente della FIT
(consecutivamente dal 1958 al 1969). Da tutti viene ricordato
come un gran signore, mosso solo dall’amore per lo sport e per il tennis
in particolare. Si consideri che sotto la sua egida vennero attribuite
le Olimpiadi a Roma nel 1960, edizione particolarmente riuscita, e ancor
prima le olimpiadi invernali di Cortina.
Due sue storiche battaglie sono menzionate; la prima fu quella per la riammissione del tennis alle Olimpiadi,
evento osteggiato dagli inglesi e da qualche grande torneo in quanto
rischiava di far perdere a Wimbledon qualche popolarità. Dopo più di
trent’anni di perseveranza riuscì a rivedere il “suo” sport
nell’edizione di Seul ‘88. Se quest’anno potremo goderci il tennis a
cinque cerchi, lo dobbiamo anche a lui. Si opponeva poi strenuamente
all’era del professionismo, e considerò un tremendo oltraggio la
posizione di Wimbledon che nel 1968 aprì i propri cancelli anche ai pro.
Se questa posizione è ora criticabile per il suo conservatorismo,
bisogna però considerare lo spirito dell’uomo, che si definiva uno degli
ultimi seguaci di De Coubertin. Su questo non si possono aver dubbi,
visto che rifiutò sempre le laute prebende della sua carica e si
oppose alla politica dei politicanti di mestiere che nello sport
entrarono negli ultimi decenni della sua vita a dettar legge, spesso la legge del denaro con tutto ciò che ne consegue (ricatti, corruzione, etc...).
IL LIBRO
Dicevo prima che a considerarlo a prima vista, questo libro mi dava
l’idea di essere stato un pessimo investimento, per fortuna mi
sbagliavo. Tra i punti di forza ci sono sicuramente le molte fotografie:
De’ Stefani era anche un appassionato fotografo, e considerati i
numerosi viaggi che fece e le molte personalità che incontrò la scelta
di cosa pubblicare dev’essere stata piacevolmente imbarazzante. Notevole
e interessante è l’apparato che ci ricorda i suoi record e diverse
statistiche, come le presenze in Davis, i suoi match, ma anche l’elenco
dei presidenti della FIT, addirittura l’albo d’oro del tennis Parioli a
livello nazionale. Poi ci sono estratti dai giornali dell’epoca
che danno un’idea non solo della popolarità di De’ Stefani, ma anche,
visto che sono inquadrati molto bene nel loro momento storico, del clima
dell’epoca. La qualità di stampa è buona; ho notato, a onor
del vero, due piccoli refusi, ma sia la carta che la copertina mi
sembrano adatte al tipo di pubblicazione.
Il libro è poi scritto molto bene da una giornalista sportiva, Francesca Paoletti: è piuttosto scorrevole e ricco di aneddoti.
Ad esempio riporto questo: nella sua giovinezza era uso giocare una
partita al giorno con l’amico e validissimo tennista Clemente Serventi.
Ad un certo punto sentono un gran vociare accanto al club, si sporgono e
vedono diverse persone in una divisa che prevedeva una camicia nera
attraversare la capitale provenienti da Ponte Milvio. Al che il suo
compagno gli fa: “Annamo Gio’, lassali perde. Quanto stavamo?
Quaranta-quindici?”. Era la Marcia su Roma...Criticherei forse il tono un po’ troppo agiografico dell’insieme.
Sicuramente De’ Stefani è stato molto importante per il tennis e lo
sport italiano e si è trovato ad affrontare momenti storici non facili,
però andrebbe spiegata meglio la sua posizione in un’epoca storica che
vide l’ascesa del regime fascista. Come la stragrande maggioranza degli
italiani, dovette convivere con il fascismo e l’ideologia che lo
guidava. Non fu certo uno strenuo oppositore di Mussolini, ma neanche un
fervente sostenitore fanatico: questo sembra emergere dalle notizie che
ho cercato di raccogliere. Forse avrei messo questo in maggior luce,
visto che nel libro ci sono le foto delle parate a cui partecipò e del
suo primo incontro disputato sul Campo della Pallacorda (fu il primo a
giocarci, inaugurandolo). Sicuramente la stampa del regime cercò di utilizzare i suoi successi per mettere in luce la fierezza italica.
C’è anche da dire che in quel periodo de’ Stefani fu quasi sempre in
viaggio, immagino spesso ospite dei vari re e marajà che se lo
contendevano (come gli emiri di oggi si contendono Federer e Nadal), ma
altrettanto spesso fu alla guida di delegazioni italiane che ci
rappresentavano nei quattro continenti.
Chiudo questa breve recensione parlando degli ultimi due capitoli che mi sembrano interessanti. Un
ricordo di Nicola Pietrangeli, compagno del Parioli, che lo ricorda
come una persona riservata, ma molto affezionata anche in qualità di
dirigente e che ricorda i motivi di contrasto che i giocatori dell’epoca
avevano con lui: la questione del professionismo (che
Pietrangeli dice di aver sempre appoggiato) e la questione del challenge
round in Davis e la possibilità di scelta dei campi da parte dei
finalisti, senza le quali, dice Nicola, avremmo ottenuto qualche
successo in più e su questo punto de’ Stefani non fu abbastanza fermo
nel proporne l’abolizione. L’ultimo capitolo riporta estratti dai giornali del 1992 che lo ricordano nel momento della morte
e si chiude con l’articolo di Clerici che ne ricorda il tennista, il
dirigente e la persona. Per gli amanti del tennis elegante, dai nobili
gesti e dai pantaloni bianchi è sicuramente un libro da conservare in
biblioteca.
Pubblicato su Ubitennis il 19 luglio 2012
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