TENNIS - Il tennis è diventato Open nel 1968: da allora è aperto a tutti, dilettanti e professionisti. Come si guadagnavano da vivere i giocatori di tennis prima di quella rivoluzione? Ecco una breve introduzione a quel periodo semisconosciuto. Il professionismo nasce sin dai tempi di Bill Tilden e Suzanne Lenglen. I più forti giocatori degli anni 40, 50 e 60 sono tutti passati tra i "pro".
..Jack Kramer..
Immaginate di saper fare bene una cosa, qualsiasi
cosa. E immaginate che molta gente venga a vedervi fare quella cosa.
Gente ricca che lo fa per divertimento. Immaginate pure che siate
poveri, oppure non molto ricchi. E la gente viene a vedervi e vi dica
pure: bravo! Oppure che venga a vedervi e ci paghi sopra, ma quei soldi non siano per voi…Immaginate
che dopo qualche tempo venga qualcuno a offrirvi dei soldi sotto banco.
Oppure che qualcuno vi offra, piuttosto di stare in quel posto, seppur
bello e pieno di fascino e di lusinghe, soldi, anche tanti soldi, per
fare in un altro posto quella stessa cosa che fate bene, e che la gente
paga per venire a vedere.
A un certo punto vi verrebbe pure la voglia di tornare nel
posto di prima, che era così glorioso e fascinoso: ma non vi faranno
entrare, perché vi siete venduti; anche se pure il pubblico non
si curerebbe poi molto, poiché viene a vedervi fare quella cosa, e non
gliene importa punto che voi guadagniate diverse sterline…Immaginate
anche che questa situazione vada avanti per anni, per quasi un secolo, e
che non ci troviamo nel Medio Evo, e neppure prima della Rivoluzione
Industriale, bensì nel pieno XX secolo. Quando l’Uomo si preparava ad
andare sulla luna, votavano quasi tutti, gli autori e gli scrittori
venivano pagati, i ciabattini pure (seppur poco), gli attori un po’ di
più e gli sportivi invece no (ufficialmente almeno). Poi si
sarebbero rifatti con gli interessi, d’accordo, ma intanto, i tennisti
fino al 1968 erano tutti dilettanti. Se non lo erano, erano giocatori
professionisti di tennis, spesso bistrattati.
L’intento di questo articoletto è quello di provare a dare qualche
cenno storico (e non è facile, vista la mancanza di fonti certe e
definitive) su quel fenomeno parallelo che era il circuito professionale ante il 1968. Penso si possa perlomeno concordare tutti nel dividere in tre periodi la storia del professionismo nel tennis.
Il primo periodo è quello che va dalla nascita del tennis alla fine della seconda guerra mondiale.
In questo periodo prevale il dilettantismo (anche se, vedremo poi,
spesso e volentieri, e soprattutto tra le due guerre, molti erano i
dilettanti pagati sottobanco): si gioca solo per la Gloria.
Il secondo periodo va dal 1947 al 1968: i
professionisti escono allo scoperto e, non riconosciuti dai tornei per
dilettanti, creano dei circuiti paralleli che via via acquistano sempre
maggior peso: si gioca per i soldi o per la Gloria, alle volte
pretestuosamente per la Gloria, guadagnando anche qualche bel soldino.
Il terzo periodo parte dal 1968 e arriva fino a noi:
tutti i tornei diventano Open, cioè aperti a tutti e dotati di un
montepremi sempre più ricco e goloso; i soldi accompagnano la Gloria e
alle volte si gioca solo per i soldi.
Gianni Clerici dedica un interessante paragrafo de i “500 anni di
tennis” al fenomeno del dilettantismo e del professionismo. E a uno dei
più grandi innovatori: Jack Kramer. Come detto, il professionismo,
considerato come remunerazione di prestazioni sportive, si era già
insinuato nell’epoca in cui, in teoria, esistevano solo i dilettanti. Ad
esempio, il grande Bill Tilden (e siamo già tra le due guerre mondiali)
aveva tentato, in parte riuscendoci, a creare delle manifestazioni
tennistiche aggiudicandosi campioni della racchetta come Vines, Budge e
Perry. Lo stesso Tilden che fu accusato di professionismo dalla
sua federazione (lui che per il tennis, oltre che per le sue attività
artistiche, si era letteralmente ridotto in povertà).
Si consideri infatti che all’epoca era accusa infamante oltre che un
potente spauracchio agitato dalle varie federazioni per controllare i
propri giocatori. Anche Suzanne Lenglen, per scomodare un altro nome
importante, dovette difendersi da questa accusa (e anche lei passò al
professionismo seppur brevemente e a fine carriera). Se lo possiamo però
considerare un fenomeno collaterale in quel periodo, dal 1947 inizia
una nuova epoca che rese sempre meno nobili le liste dei partecipanti ai
tornei del Grande Slam. In quell’anno, infatti, Jack Kramer si
impose prima come professionista, dopo aver sbaragliato i dilettanti, e
poi come impresario di tournée e tornei tennistici e, disponendo di
grosse somme di denaro e di una notevole influenza sui giocatori,
“rubò” o, meglio, “comprò” le più valide racchette dell’epoca che, non
potendo più partecipare ai vecchi tornei, resero estremamente
competitive e di altissimo livello le stagioni professionistiche per un
ventennio, nonché più poveri i tabelloni amatoriali.
Amateurisme marron, shamateurisme: così francesi e inglesi chiamavano
il dilettantismo remunerato in nero attraverso rimborsi spese, inviti a
partner, etc… E queste spese spesso bastavano a dilettanti che già
erano ricchi di famiglia, ma che rimanevano comunque molto legati alle
proprie federazioni. Ad esempio, e siamo negli anni ‘30, Henri
Cochet, uno dei Moschettieri, aveva una percentuale sugli incassi del
Roland Garros: ufficialmente non era pagato per giocare, ma
ufficiosamente i franchi arrivavano. Chi invece non godeva di
queste prebende, dalla metà degli anni ’40 in poi sceglieva il
professionismo, soprattutto americano. E siccome molti fortissimi
giocatori iniziavano dalla gavetta della vita, è sempre più difficile
credere, fino al 1968, alle statistiche basate sui tornei dello Slam. I
giocatori che sono considerati i più forti degli anni ’40, ’50 e ’60
sono: Kramer, Gonzalez, Rosewall e Laver. A parte Laver, che fa caso a
sé, Gonzalez e Rosewall non vinsero nemmeno un Wimbledon, Kramer uno
solo.
Poi ci sono le eccezioni fantasiose: tipo Bobby Riggs che scommise su
sé stesso per autodotarsi di un montepremi…Ma sentiamo alcune voci dei
protagonisti dell’epoca come assaggio e anticipo della prossima puntata,
in cui andremo ad analizzare un po’ meglio come erano organizzati i
primi tornei e le tournée pro:
Jack Kramer (1955): Quando ero campione degli Stati Uniti come amatore: non ero un amatore!
Hoad (1957): “I was a tennis slave… Ero uno
schiavo del tennis, perché l’accordo con la federazione mi rendeva
proprietà della federazione stessa. Se dopo Wimbledon chiedevo un
periodo di riposo, mi dicevano di no perché c’erano accordi per giocare
di qua e di là…”
Arthur Ashe: "Tutti noi meritiamo degli Oscar come amatori…"
Gordon Forbes: "Sono un amatore di professione"
MacKay (1961), passato al professionismo: "Mi sento pulito per la prima volta, non devo più prendere soldi sottobanco…"
Althea Gibson (1968): "Essere una campionessa è buono e bello, ma non puoi mangiare una coppa…"
Serena Williams (2003): Sono sempre stata
motivata a vincere gli US Open, perché pagano molto. Quest’anno sarà
probabilmente 950.000 dollari. Chi non vorrebbe vincerli?
Pubblicato su Ubitennis il 9 gennaio 2012
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