TENNIS - Il campo blu di Madrid non vi sembra il perfetto set di una pubblicità? Non vi sembra di avere un déjà vu vedendo le immagini televisive delle partite? E se Tiriac avesse solo tirato una logica conclusione da un decennio di spot televisivi?
..la famigerata terra blu..
A qualcuno di noi sarà certo venuto il leggero
sospetto che la fin troppo denigrata terra blu di questi giorni sia solo
ed esclusivamente una trovata pubblicitaria di quel geniaccio di
Tiriac; e che stavolta abbia fatto il passettino più lungo della gamba. Ma come può nascere un’idea del genere? È lui un marziano, un unicum nel mondo del tennis, o c’è dell’altro?
La mia idea è che sia solo l’ultimo anello di una catena di tentativi
pubblicitari legati ai campi. Solo l’ultimo passaggio, l’applicazione
concreta di un’idea nata fuori dal mondo del tennis. E il
problema che ne nasce (sottovalutato, penso), è che questo tipo di
innovazioni influiscono sul gioco, sui giocatori e sugli spettatori alle
volte pesantemente, altre volte meno. Quando poi nascono fuori dai campi l’esito è imprevedibile.
Limitiamoci al tema pubblicità e campi per non divagare troppo.
Andando a memoria, fino al secolo scorso la pubblicità legata al mondo
del tennis non intaccava i campi. Riguardava abbigliamento, palline, racchette e poco altro.
A livello generale, oserei anche dire che era la pubblicità a traino
del tennis (ora sembra l’opposto). La Fila (tanto per fare un nome a
caso) si adeguava alla moda nel tennis, le racchette evolvevano insieme
alle pretese dei giocatori, le palline al massimo cambiavano colore, ma
si ingrandivano e rimpicciolivano per adattarsi ai campi e ai giocatori,
almeno così mi sento di sostenere. Certamente le influenze non sono mai
univoche, ma penso che se Borg non avesse indossato quel tipo
particolare di abbigliamento, ora anche la storia dell’abbigliamento nel
tennis sarebbe diversa. Sarebbe curioso sapere se Bjorn abbia fatto solo da modello o se “voleva” vestirsi così.
Comunque sia, ad un certo punto i campi hanno iniziato a diventare elemento del business.
Prima erano una componente scelta e sviluppata da tornei e giocatori.
Punto e basta. Da quando il tennis è diventato sport quasi di massa e
terra di conquista per brand sempre più slegati dal mondo del tennis
(macchine, orologi, banche, etc etc) anche il campo sembra diventata una
variabile impazzita. Non parlo dello spot, ad esempio, del tipo di
campo, ma parlo proprio di campi alternativi: nella pubblicità
dell’ultimo decennio gli esempi sono innumerevoli.
Nel 2003 la Pacific Life gira uno spot prima di Indian Wells in cui Mark Philippoussis e Tommy Haas battagliavano sott’acqua.
Nel 2005 c’era la bellissima pubblicità di Federer e Agassi
che si affrontavano sulla piattaforma per elicotteri di un hotel in quel
di Dubai (mi son sempre chiesto quante palline saranno cadute da 200 m. d’altezza e quanti e quali danni avranno causato).
Murray giocava a tennis da sopra l’O2 Arena in
previsione delle Barclays ATP World Tour Finals (notare i due sponsor
menzionati: nessuno legato al mondo della pallina gialla).
Sempre Andy è protagonista dell’Urban tennis, dove il campo è niente meno che la città stessa.
L’immancabile Nole invece è protagonista di uno spot aereo in cui gioca su un biplano. Roger invece deve difendersi in casa con racchetta e palline. E via elencando...
Apparentemente sembrerebbero innocenti divertissement pubblicitari.
Ma pensate al messaggio che passa in sottofondo, anche non volutamente. Il
tennis non si gioca più su terra (rossa) o su erba, neppure sui campi
da tennis. Il tennis è diventato qualcosa d’altro che non uno sport
legato al campo. È successo anche con il calcio, per carità (si
pensi alle partite pubblicitarie giocate in strada o addirittura
all’inferno). Ma il tennis è andato oltre: pensiamo alle esibizioni!
Dagli albori della sua storia, il tennis si presta alle esibizioni più
fantasiose. Le tournée americane degli anni ‘30 si giocavano in teatri,
al Madison Square Garden, in stadi da hockey, e chi più ne ha più ne
metta... Consideriamo solo le esibizioni degli ultimi anni a partire
dalla famigerata partita in un campo metà terra e metà erba tra Nadal e
Federer e a tutte le esibizioni in occasione delle promozioni dei
tornei: ad esempio, Murray e Nadal giocarono al palazzo reale di Monaco
nel 2009; e poi ci sono le esibizioni con i bambini nelle varie piazze,
etc etc... E tra qualche mese si giocherà niente meno che al
Bernabeu! Ben vengano, sia chiaro, queste manifestazioni, sono tutta
pubblicità per il nostro sport, per attrarre interesse e bambini (e
soldini).
Non si mette infatti in discussione la necessità degli sponsor,
soprattutto al giorno d’oggi e soprattutto visti i cachet dei giocatori
che chiedono sempre più e le pretese degli spettatori che vogliono uno
spettacolo sempre più all’avanguardia. Evviva gli investimenti nel
tennis. Ed è pure divertente vedere le pubblicità come cambiano e come
sono ingegnose (rimando a un bell’articolo di qualche mese fa apparso su Ubitennis).
Sembra però che a Madrid la scelta di un campo così “diverso” per
colore e tipologia sia la logica conseguenza di un processo durato un
decennio. L’ultimo (o forse no) anello di una catena di influenze
sotterranee, di una tendenza al marketing che potrebbe portare ad una
deriva pericolosa (spero di non cadere nella dietrologia o nel moralismo
applicato alle racchette).
Forse dico solo ovvietà, ma la domanda che mi pongo è questa: quanto
siamo disposti, noi spettatori e loro giocatori, a subire queste
decisioni? E siamo proprio sicuri che ne siamo solo spettatori e non
anche concausa?
Articolo pubblicato su Ubitennis l'11 maggio 2012
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