TENNIS - Profilo di uno dei più grandi giocatori di sempre, Jack Kramer. Campione da amatore e da professionista. Fuoriclasse anche come commentatore e dirigente di quel mondo del tennis che lo ha visto per quarant’anni come protagonista assoluto. È stato inoltre uno dei fondatori e capi tra i più carismatici dell’ATP. Enos Mantoani
Jack Kramer in un discorso sulla storia del tennis è quasi come il prezzemolo: c’è più o meno dappertutto.
Giocatore, promoter, commentatore, giornalista, fine analista,
innovatore. Innovatore sia del gioco che dell’organizzazione tennistica.
Se il tennis è com’è oggi, lo dobbiamo molto a lui, alle sue
intuizioni, alle sue capacità. È importante perciò avere un profilo
(seppur abbozzato e sicuramente incompleto) di questo fuoriclasse
americano, pietra miliare del tennis moderno.
John Albert Kramer nacque il primo agosto 1921 e, per chi crede e
tiene a questo titolo, è uno dei papabili più forti alla corona di GOAT.
Ci sarebbero diversi fiumi d’inchiostro da versare per cercare di
raccontare quello che Jack ha fatto per il tennis, noi ci limiteremo a tre aspetti:
la sua carriera da giocatore e le sue innovazioni stilistiche, la sua
carriera di imprenditore e dirigente nel mondo professionale del tennis,
le sue analisi sulla storia e sui giocatori del tennis
La sua carriera da giocatore
Scorrendo gli annali le vittorie di Kramer non sono poi così tante: 3
sparuti Slam in singolare (un Wimbledon, 1947, e due US Championships,
1946 e 1947); 6 Slam (due Wimbledon e quattro US) in doppio e uno solo
in doppio misto. C’è però da considerare gli anni di attività di
Jack: lui, nato nel 1921, dovette servire l’esercito americano negli
anni in cui, in teoria, avrebbe potuto certamente lottare per altri
titoli degli Slam (che comunque non si giocarono). E appena
vinto il titolo di campione americano del 1947 passò al circuito
professionista, e quindi non partecipò a nessun altro Slam. Ecco perché
per lui, come per altri, il numero degli Slam vinti non è indicativo
dell’effettiva grandezza come tennista. Jack era il tipico ragazzo che
riusciva in ogni sport, ma visto giocare Vines optò per impegnarsi a
fondo nel tennis, e in poco tempo, sotto la guida di esperti mentori che
lo influenzarono molto nelle sue scelte di gioco, arrivò a vincere
diverse competizioni giovanili a livello nazionale. Il suo gioco
si basava sui fondamentali del servizio e del dritto, temibilissimi
entrambi. Ma più che altro su quello che sarebbe poi passato alla storia
come “tennis percentuale” e come Big Game.
Ovvero, più che basarsi sull’estro individuale, Jack, e la scuola che
lo formò, individuarono alcuni colpi, prodotti quasi di serie, che
nell’arco di una partita garantivano la maggior percentuale di successo,
con minimo scarto di errore. Ad esempio, Kramer colpiva il
dritto sempre lungolinea per poi attaccarsi a rete: era infatti convinto
che la gran parte degli avversari non sarebbe riuscito a passarlo se
non due volte su dieci, e in pochi avrebbero giocato bene il cross
stretto di rovescio. Nell’arco della partita, dunque, avrebbe
conquistato la maggior percentuale di punti, e quindi il match. Il suo
tennis a percentuale, però, prevedeva anche di concentrarsi su certi
game piuttosto che su altri, ad esempio (e oggi sembra una banalità) era
vitale concentrare i maggiori sforzi sui propri turni di battuta.
Seguiva poi sempre a rete il servizio potente e preciso, come ogni colpo
d’attacco, il devastante diritto soprattutto; da qui il nome di Big
Game e quello di Power Tennis, per Clerici: “i principi della grande
industria applicati alla guerra” tradotti in un campo da tennis. Tutti
possiamo rivedere questi concetti chiave applicati nelle generazioni
successive.
Dopo un anno e mezzo di imbattibilità (compresa la conquista di due Coppe Davis, 1946 e 1947) passò al professionismo
(la sua famiglia era benestante, ma non ricchissima) e fino al 1954 si
esibì tra i migliori professionisti del suo tempo, iniziando da Bobby
Riggs, con il quale iniziò le proprie esibizioni al Madison Square
Garden. Poi fu la volta delle tournée con Pancho Gonzales, tournée che
vinse nettamente; si impose pure nel US Pro Championships del 1948.
Dovette ritirarsi abbastanza giovane dai campi a causa di problemi alla
schiena, 1954.
La sua carriera di imprenditore e dirigente
Gli ultimi anni del Kramer giocatore furono frastagliati da problemi fisici che, se lo allontanarono dal tennis giocato, gli permisero di iniziare a cimentarsi nell’organizzazione degli eventi.
Agli inizi degli anni ’50, infatti, seguendo un po’ il percorso
tracciato da Bobby Riggs, iniziò a sedersi dietro la scrivania e a
pensare come valorizzare il circuito professionale per attrarre sempre
più audience al tennis. È in questi anni che si fece portavoce sempre
più fervente dei tornei Open, cioè della possibilità per ogni giocatore,
professionista o amatore che sia, di competere in tutti i tornei (a
partire dagli Slam, ovviamente). Nel 1960 era lui a sostenere questa
istanza, poi bocciata dai dirigenti dei tornei amatoriali (per soli
cinque voti): i tempi non erano ancora maturi. Finalmente, nel 1968,
venne inaugurata la prima stagione Open, ma altri problemi nascevano per
i giocatori; ecco perché fu tra i padri fondatori dell’ATP
(1972) assieme a Donald Dell e Cliff Drysdale e il primo direttore (per
sua stessa richiesta non pagato). In questa veste lo troviamo, ad
esempio, come principale sostenitore del boicottaggio di Wimbledon ’73 a
difesa di Niki Pilic. Ma non solo, è uno dei principali
artefici, se non l’ideatore, del sistema a punti attribuiti ai risultati
dei tornei che, seppur rivisto più volte, conosciamo ancora oggi e che
utilizziamo per le varie classifiche.
La sua carriera di analista
Altrettanto importante Kramer lo fu come commentatore e come analista del tennis. Non c’è storia del tennis, quando si provi a ripercorrerla, che possa prescindere dal giudizio di Kramer.
Nel suo “The Game, My 40 Years in Tennis” (1979) ha fissato una serie
di valutazioni e di classifiche che tuttora perdurano. La sua
autorevolezza deriva naturalmente dal fatto di aver vissuto nel mondo
del tennis per oltre quarant’anni in tutte le vesti possibili
immaginabili. Ad esempio, negli anni ’60 fu apprezzatissimo commentatore
a Wimbledon per la BBC (scaricato nel 1973 in quanto, come detto,
boicottò il torneo). Poi lo ritroviamo come giudice arbitro a Los
Angeles. Poi come scrittore di memorie tennistiche. Insomma, non si può
dire che non amasse quell’ambiente e che non lo conoscesse come le sue
tasche. Proprio nel 1968, data oltremodo significativa, fu introdotto
nella International Tennis Hall of Fame in Newport. Morì nel 2009 nella
sua casa di Bel Air, California.
Pubblicato su Ubitennis il 2 marzo 2012
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