TENNIS - In questa seconda parte presentiamo l'uomo Tilden, dall'esistenza sfortunata e frustrata in cui il tennis fu sempre presente. Dalle sue velleità artistiche ai suoi vizi, dal rapporto con i colleghi a quelli con gli artisti del tempo. Omosessuale dichiarato, venne arrestato per presunte moleste e morì in miseria. Ma fece in tempo a scrivere una "bibbia" tennistica.
Nell’accingermi a scrivere la seconda parte di questo contributo incentrato sulla sua parabola umana di Bill Tilden,
ho fatto suonare un cd di Django Reinhardt, Nuits de Saint-Germain des
Prés, che ci riporti agli anni’20 e alla Parigi dei Café che sicuramente
Tilden avrà amato. Anche se lui prediligeva l’Opéra, tanto da
collezionarne 2000 dischi e tentare, prima di quella tennistica, la
carriera artistica, come cantante, o come attore, e poi come scrittore.
Non ne aveva però le doti. Gli déi del tennis lo avevano sottratto alle Muse, ma lui per tutta la vita le inseguì corteggiandole, mai ricambiato.
Spese tutti i soldi di famiglia e quelli guadagnati sul campo (seppur
la gran parte sottobanco) per cercare la fortuna teatrale a Broadway, o
facendosi stampare romanzi illeggibili, o insistendo presso gli amici
divi di Hollywood (come Chaplin) per avere dei cammeo almeno sul grande
schermo.
Non potendo essere artista, fece il Divo, almeno sui campi,
raggiungendo la stessa notorietà di altri sportmen americani dell’epoca,
come Babe Ruth. Soleva dire che “il tennis è ben più di uno sport. È
un’arte, come il balletto. O come il teatro. Quando scendo in campo mi
sento come Anna Pavlova, o come Adelina Patti, anche come Sarah
Bernhardt (N.d.E.: celebri attrici dell’epoca, comparabili alla nostra Eleonora Duse). Vedo le luci della ribalta, sento i gemiti del pubblico”.
E come tutti gli attori che si rispettino, aveva un carattere
narcisista e anticonformista: era una primadonna. Avendo firmato
l’autografo di un ragazzino solo con il cognome, e interrogato sul
perché non avesse scritto anche il nome chiosò: “Forse che la Garbo firma diversamente?”.
Per questo non sopportava che altri gli rubasse la scena e soprattutto
non sopportava la Lenglen e Borotra, proprio perché erano e si
atteggiavano a Divi quanto e più di lui, e di loro criticava lo stile:
della Diva perchè era eccessiva, di Borotra perchè falso, ciarlatano,
affascinante e insincero come Parigi. Di lui si riconoscono invece
l’eleganza e la correttezza, possedeva innato lo stile e la lealtà per
farsi amare più in Europa che in America dove non gli perdonavano le
mattane e l’essere omosessuale. A quel tempo dichiararsi gay era
un reato. E se i pregiudizi sono rimasti gli stessi anche oggi,
all’epoca venivano apertamente espressi. In un film dell’epoca c’è una scena in cui a proposito di due fratelli si dice: “Uno gioca a tennis, l'altro invece è un maschio” (“One's a tennis player; the other's a manly sort of yellow”)”.
È curioso a questo punto notare come proprio Tilden, omosessuale,
sdoganò il tennis che iniziò non più a essere visto come sport da
femminucce (nel senso spregiativo usato con questo termine), ma come
sport anche per rudi popolani, poiché lui riuscì a catalizzare
l’attenzione dei più diversi strati sociali. Ancora a fine anni ’80 (del
Novecento), Bud Collins sentiva questi commenti: “Che sport sarà mai se il più grande di tutti i tempi era una checca?”.
Venne anche rappresentato nel romanzo di Nabokov, Lolita, sotto lo
pseudonimo di Ned Litam, che letto al contrario è Ma Tilden e dipinto
come un ex campione di tennis circondato da un harem di raccattapalle e
dichiaratamente omosessuale.
Anche i suoi colleghi furono spesso maligni e cattivi con lui su
questo aspetto, tanto che Gianni Clerici racconta il seguente rumor:
partecipando il Nostro alla prima edizione degli Internazionali d’Italia
(Milano, 1930) e giunto agilmente in finale, fu apostrofato in
malo modo con epiteti legati alle sue preferenze sessuali dal barone De
Morpurgo, prossimo avversario nel match finale del torneo. Adirato, Big
Bill gli lasciò la miseria di quattro game imponendosi 6-1 6-1 6-2.
Ci sono comunque due grosse macchie nella vita di Tilden. Venne incarcerato due volte (1946 e 1949) con l’accusa di molestie sessuali nei confronti di due adolescenti.
Sebbene Tilden prese fin da giovane sotto la sua ala protettiva diversi
ragazzi che volevano intraprendere la carriera tennistica (dei quali
Vinnie Richards fu il più talentuoso), e sebbene nessuno ebbe a dire che
queste relazioni esulassero dal mero rapporto tennistico, nessuno volle
più affidargli dei ragazzi, tanto che perse il lavoro come maestro di
tennis. Queste due macchie sono forse figlie di un'infanzia
sfortunata e tormentata. Perse infatti la madre in tenera età e con il
padre, che pure morì quando Bill era ancora giovane, ebbe un rapporto
quantomeno conflittuale. Nel 1931, come detto nella puntata
precedente, Tilden venne squalificato dalla federazione americana con
l’accusa di non essere un vero dilettante e quindi di ricevere dei
compensi, seppur per avere scritto di tennis come giornalista. In realtà
lui, come gli altri, veniva sottobanco remunerato per la partecipazione
ai tornei (anche ai nostri Internazionali d’Italia del 1930); ed era
risaputo. Ma fu il pretesto che i giudici federali utilizzarono per
toglierlo di mezzo.
Passò dunque al professionismo con buonissimi risultati, essendo
sempre l’attrazione principale delle tournée professionistiche. Fino
alla sua morte fu innamorato del tennis e lo studiò nei minimissimi
particolari. Tra i suoi contemporanei, il solo Renè Lacoste fece
altrettanto. Scrisse tre libri sul tennis, tutti best seller, il più famoso dei quali sarà Match Play and the Spin of the Ball, tuttora ristampato e vera Bibbia tecnica dell’epoca; la massima più famosa sarà “mai cambiare un gioco vincente, sempre cambiare un gioco perdente”, frase che sembra lapalissiana e banalotta, ma che andrebbe ripetuta come un mantra anche ai nostri giorni. Dai
suoi scritti affiora anche l’arguzia: in certe frasi ed aforismi,
Tilden sembra l’Oscar Wilde del tennis. E come l’illustre scrittore,
morì in disgrazia, sul lastrico, abbandonato dalla folla prima
osannante. Fu colpito da infarto mentre si recava all’ennesimo torneo di
tennis: era il 1953.
Pubblicato su Ubitennis il 14 marzo 2011
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