TENNIS - Ricorderete tutti che a Roma, qualche mese fa, Ken Rosewall fu ospite d’onore, invitato a ricevere la Racchetta d’oro. Ecco dunque un profilo di "Muscle". Detentore di numerosi record, dalla carriera lunghissima, vinse tra i dilettanti, tra i professionisti e anche nell'Era Open: l'ultima volta addirittura a 37 anni! Uno, davvero, dei più grandi di sempre, con il neo di non aver vinto Wimbledon…
Mi rendo conto che sempre più questi articoletti
che via via aumentano da un lato acquisiscono un tono panegirico, mentre
dall'altro una sottintesa vena malinconica che, potete credermi, non è
intenzionale. Comprenderei dunque se qualcuno pensasse: ma che pensa
questo? Che il tennis d'un tempo era idilliaco, "puro", mentre quello
d'ora è rozzo e "sporco"? Si sa,
il tempo ammorbidisce i toni e li depura da ciò che non
vogliamo ricordare, restituendoci, però, quello che vorremmo che il
tennis sia: un tennis ideale...
D'altra parte, un motivo ci sarà se certi giocatori sono ricordati in
un certo modo e altri non lo sono affatto. Il pregio di guardare
all'indietro è quello di guardare alla totalità dei personaggi (per
quanto vi si possa scavare), mentre i tennisti presenti, spesso ci
appaiono solo sui campi da tennis e non ci possiamo addentrare più di
tanto. Poi, quando ci apprestiamo a indagare su figure come Ken
Rosewall, allora ci rendiamo subito conto dell’aura quasi sacra e
sacrale che li rivestono. Ammirato praticamente da tutti,
contemporanei e posteri (Sampras ad esempio lo idolatrava) non solo per
il gioco, ma per essere un signore dentro e fuori dal campo.
Kenneth Robert Rosewall (Sydney, 2 novembre 1934) fu assai precoce, mancino di natura venne impostato a tirare con la destra.
Forse per questo il suo rovescio è considerato uno dei migliori di
sempre, e forse per questo il suo servizio non fu mai particolarmente
efficace, anche se fu sempre piuttosto affidabile. Certo era agile,
veloce, instancabile (Laver disse che giocare contro lui era come
giocare contro un muro: Muro di Rose lo ha anche chiamato Clerici…);
dotato di volée micidiali e di un back di rovescio come una rasoiata.
Cresciuto con il connazionale Lew Hoad, ebbe a formare con
quest’ultimo una formidabile coppia di doppio (Clerici li chiama i
Gemelli Stregoni traducendo dall’inglese Whiz Kids). Innumerevoli
successi in doppio e in Davis, fu, beffa della sorte, proprio Rosewall ad impedire all’amico Hoad il Gran Slam nel 1956 soffiandogli gli US Championships.
Peraltro successe lo stesso con l’americano Trabert l’anno prima:
raggiunti i 3/4 del Grande Slam vide Rosewall rovinargli la festa in
Australia. Rosewall ha avuto una carriera eccezionalmente lunga
ai livelli più alti e rimase tra i primi 10 tennisti della classifica
mondiale dal 1952 al 1975.
Sarebbe troppo lungo, ahimè, ricordare tutti i successi
dettagliatamente; ha vinto tutti i tornei del Grande Slam tranne
Wimbledon, nonostante le 4 finali disputate (1954, 1956, 1970, 1974).
Come altri grandissimi ecco che Wimbledon rappresenta la macchiolina che
rovina un bel vestito immacolato. Si dirà infatti: come può
essere in odor di GOAT se non ha vinto i Championships? Risposta: per
oltre un decennio fu professionista prima del 1968! In quei dieci anni
sarebbe riuscito a vincere Wimbledon? Domanda che rimarrà senza risposta, ma le qualità c’erano tutte…Nel 1957 passò dunque nel circuito parallelo e nel 1963 riuscì addirittura a inanellare il Grande Slam dei Campionati professionali di tennis.
Potremmo versare fiumi di inchiostro e passare le nostre notti a
scrivere i record del signor Ken Rosewall, soprattutto nel circuito pro,
che lo vide tra i 2-3 migliori in quel decennio, all’inizio perdendo
abbastanza spesso da Gonzales, poi dominando per alcuni anni per poi
declinare con l’andare avanti delle stagioni fino all’arrivo di Rod
Laver.
Aperte le porte ai prezzolati, Rosewall fu il primo a
vincerne un torneo, in quel di Bournemouth contro Laver e il primo Slam,
il Roland Garros, nel 1968, ancora contro Laver: a proposito
di pecunia (non olet), come altri australiani della sua epoca, e alcuni
della nostra, aveva la fama di essere, come dire… parsimonioso! Gli anni
’70 lo videro soprattutto impegnato a cercare di mettere le mani sul
trofeo londinese, inaugurando anche una strategia, poi ripresa anche da
Lendl, di saltare il Roland Garros per presentarsi a Wimbledon nella
forma migliore: una strategia sfortunata per entrambi…
Le energie profuse per i prati londinesi non gli negarono nuovi Slam e nuovi record: è stato il primo giocatore a vincere uno Slam nell’era Open senza perdere un set (1971, Australian Open).
L’ultima finale dello Slam la giocò nel 1974 negli USA alla tenera età
di 39 anni e 310 giorni e l’ultima vittoria risale a due anni prima… Una
carriera lunghissima, allungata dal fatto di non avere avuto
particolari infortuni e dall’avere un fisico molto più agile di quanto
non fosse potente…Un’altra delle sue qualità era la concentrazione,
unita a una continuità eccezionale, tanto da far dire agli esperti che
giocasse in ogni match il suo miglior tennis anche se lui puntava al
massimo risultato con il minimo sforzo; e lui stesso riteneva (o,
meglio, ritiene) che puntasse assai sulla concentrazione: “Non importano le ottime qualità di un giocatore: tutto è perso se la mente non controlla ogni movimento”. Lo chiamavano "Muscle", forse ironicamente, perchè non era certo un culturista.
Chiudiamo con due domande che proprio quest’anno Stefano Semeraro rivolse Piccolo Maestro e le cui risposte ci sembrano interessanti:
D.: La sua ultima vittoria risale invece al 1977, al torneo
di Hong King, a 42 anni d’età. Oggi tutti i tennisti si lamentano per
gli infortuni che rendono sempre più corte la carriera agonistica. Qual è
stato il segreto della sua longevità ?
R.: “Sono stato fortunato ad evitare infortuni gravi. Forse era
il modo in cui mi muovevo, molto leggero, sempre in equilibrio. In
effetti sono fiero di come ho giocato nella seconda parte della mia
carriera, da vecchio tennista… Ma era giusto prima che la rivoluzione
dei materiali cambiasse volto a questo sport. Le racchette di legno
erano pesanti, certo, ma non permettevano i movimenti rapidi e violenti
che si vedono oggi, con queste nuove racchette così leggere. Allora non
sarebbe stato possibile, quindi i gesti erano meno traumatici”.
D.: Ripensa mai al periodo da “pro” con rammarico? Lei non
giocò per 11 i grandi tornei, saltando ben 44 Slam. Chissà quanti ne
avrebbe potuti vincere, oltre a quelli che ha conquistato.
R.: “No, nessun rimpianto. Poi fu lo stesso per tutti. L’unico
rammarico è che la federazione internazionale avrebbe potuto accettare
prima il professionismo. Quando passammo al professionismo nessuno di
noi pensava che avrebbe potuto giocare di nuovo in Davis o negli Slam.
Io almeno non lo credevo. Invece fra i 33 e i 39 anni credo di aver
giocato il mio miglior tennis in assoluto”.
Pubblicato su Ubitennis il 26 luglio 2011
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