TENNIS - Breve recensione del libro che racconta in prima persona le gesta dell’ultimo vero campione italiano. Uno che era amico di Borg e lo batteva due volte a Parigi, ma anche di Nastase, di Hoad, e di molti altri… Uno che agli occhi dei più grandi avrebbe dovuto vincere Wimbledon… Uno che ha saputo ricominciare avendo perso ogni centesimo dei propri risparmi… Uno che fa dire ad Ubaldo: “Quanta nostalgia”…TRA I COMMENTI UN BEL RICORDO DI DANIELE AZZOLINI
Dopo la recensione della biografia di Paolo
Bertolucci non poteva mancare su Ubitennis l’autobiografia di Panatta
per la penna di Daniele Azzolini.
Adriano Panatta, Daniele Azzolini
Più dritti che rovesci. Incontri, sogni e successi dentro e fuori dal campo.
Milano : Rizzoli, 2009 - Collana Storie e miti, 116 - 211 p. - Eur : 17,00
ISBN : 9788817034753
Penso, come diversi colleghi e lettori di Ubitennis, di
essere in debito con una generazione tennistica che però conosciamo solo
attraverso l’aura ormai del quasi mito. Un po’ come le
rovesciate di Bonimba e le cannonate di Rombo di Tuono. A livello
mondiale, gli anni ’70 sono stati gli anni dell’esplosione del tennis
che si diffuse in tutte le classi sociali e iniziò ad essere visto e
considerato uno sport per tutti. In Italia è legato praticamente a un nome solo: Adriano Panatta.
Tutti i tennisti in erba dell’epoca avrebbero voluto essere Panatta.
Per l’Italia è stato una vera e propria icona; che ne so, un po’ come la
Vespa… Almeno io, che non c’ero, la vedo così…
Il pregio di questa autobiografia è quello di aiutare a grattar via
un po’ la superficie scintillante del “brand” Panatta e iniziare a far
intravedere come Adriano abbia vissuto quegli anni, con il senno di poi,
ovviamente… L’autobiografia ha una forma classica, divisa in brevi capitoli che in ordine temporale fanno parlare Adriano della sua vita;
il corredo di fotografie non è molto esaustivo, e manca di un’appendice
statistica che nel libro di Bertolucci, ad esempio, davano un valore
aggiunto alla semplice biografia raccontata. Ci sono però dei capitoli
monografici dedicati a dei tennisti o a dei temi che evidentemente
Adriano sente di più: Borg, Hoad, Nastase, Connors, ma soprattutto
Wimbledon. Forse il suo rimpianto, ma questo lo diciamo noi, non di
certo lui, che di rimpianti con la racchetta ne ha pochi…
Traspare da questo libro un Panatta leggermente diverso da quello che
le cronache rosa del tempo hanno tramandato… Meno frivolo di quanto
potesse sembrare, mettiamola così! Dagli inizi della sua infanzia (lo
chiamavano Ascenzietto: Ascenzio era suo padre, custode dei campi dove
Adriano vide il primo tennis e i primi tennisti della “vecchia scuola”,
come Pietrangeli) ai vertici del tennis nazionale e mondiale (da
Ascenzietto ad Aaadriaanooo, insomma) Panatta non ha perso uno sguardo
alle volte ironico e un po’ dubbioso su quello che gli capitava
attorno…Di natura schivo, ma estroverso all’occorrenza (so che sembra un
ossimoro, ma nessuno è mai bianco o nero) Adriano ci racconta
le amicizie durature, ma soprattutto gli scontri con situazioni, persone
e personaggi che fanno godibile questo libro. Non mi dilungo
nel raccontare gli episodi già noti a tutti del suo rapporto con la
Federazione o delle sue storie di Davis o del magico 1976.
Una delle cose ammirevoli nella sua vita è quella, come recita una
famosa poesia di Kipling che Adriano ha letto anche a Wimbledon, di aver
saputo considerare sia il trionfo sia la sventura degli impostori e di
aver saputo ricominciare daccapo una volta perso tutto quello che aveva.
Ad esempio in occasione della sfortunata carriera imprenditoriale, ma
anche nella sua permanenza in federazione. Mi dà l’idea di una persona che crede in quello che fa e nelle sue potenzialità, ma non vuol scendere a certi compromessi (non
è sempre vero, anzi quasi mai, che il fine giustifichi i mezzi). Questa
è la sua grandezza e il limite del suo raggio d’azione. Anche
nell’amicizia racconta di essere così: la chiarezza innanzitutto, poi si
può accettare tranquillamente qualunque decisione degli amici (ad
esempio quando Bertolucci accettò di capitanare la Davis al posto suo).
Non per questo è un bonaccione o una persona che possa accettare
tutto. È caustico nel suo giudizio, ad esempio, verso Lendl. In una
serie di commenti su questo sito, dei tifosi Lendliani hanno fatto
notare come le frasi nel libro di Adriano verso i supporters del ceco li
abbiano in qualche modo offesi. Questo è anche comprensibile. Perlomeno
Panatta non si trincera dietro un buonismo di facciata, in cui tutti
nel circuito sono considerati praticamente degli amici o quasi (vero
Nadal?). Sono raccontate le litigate furibonde e i piccoli
screzi, gli scherzi e le mattane di una generazione che vive il tennis
in fondo per quello che era: un gioco che dava loro da vivere (più che
dignitosamente, senza per questo raggiungere i montepremi vertiginosi
del presente). E il suo stile in campo era così, mai banale, nel bene
come nel male; si stufava a scambiare lunghi e noiosi pallettoni da
fondo campo; spesso era lui a rischiare, e dotato di una classe e di un
fisico adeguato raggiunse i risultati che sappiamo.
Come chiude il nostro direttore Ubaldo il breve profilo
dedicato all’ultimo vero campione italiano nell'ultimo libro presentato
agli Internazionali d'Italia 2011: “Quanta nostalgia...”
Pubblicato su Ubitennis il 9 novembre 2011
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